La sintomatologia
Le fasi della malattia sono tre:
FASE I Inizia dopo 3-6 settimane dal contagio, i pazienti sviluppano una sintomatologia similmononucleosica e cioè febbre, astenia (stanchezza), faringite, cefalea, malessere generale.
FASE II Fase della latenza clinica: dopo la prima fase subentra un periodo asintomatico, durante il quale, però, si assiste ad una progressiva diminuzione del numero dei TCD4 linfociti di derivazione timica ed ad un progressivo esaurimento del sistema immunitario (che può durare anche 10-12 anni). I linfociti TCD4 sono parte del sistema di difesa e rappresentano l'obiettivo primario, ma non il solo, del virus HIV. Il virus HIV, una volta penetrato all'interno di queste cellule, si moltiplica fino a determinare la completa distruzione della cellula stessa; il numero di queste cellule va progressivamente diminuendo e si crea così un graduale sovvertimento del sistema che dovrebbe difenderci dall’attacco esterno dei microbi e dalle malattie da questi generate. Di norma i valori dei TCD4 nella popolazione "sana" oscillano tra 800 e 1500 cellule/mm cubici. Diversamente i linfociti CD8 non vengono infettati e distrutti dal virus HIV, come accade con i linfociti CD4, ma viene sempre più rafforzandosi l'ipotesi che anch'essi giochino un ruolo fondamentale nella valutazione dell'andamento della malattia, risulterebbe infatti che i linfociti CD8 sono in grado di produrre particolari molecole capaci di contrastare il virus HIV.
FASE III Fase sintomatica o AIDS: durante la quale i pazienti cominciano a manifestare malattie opportunistiche, secondarie all'immunodepressione.
Il complesso correlato all'AIDS (o ARC) comporta: febbre, diarrea cronica, calo ponderale >10% del peso corporeo, candidosi orale, herpes zooster multidermatomerico, condilomi ano-rettali, tale fase precede di circa 12 mesi la comparsa dell'AIDS conclamato, che è contrassegnato da patologie infettive opportunistiche, quali polmonite da pneumacystis carini, neurotoxoplasmosi, oppure da neoplasie (sarcoma di Karposi).
Il trattamento
Una caratteristica del virus HIV è che sono microrganismi incapaci di riprodursi autonomamente e per farlo devono penetrare all'interno di una cellula e sfruttare l'apparato riproduttivo di questa. L'obiettivo delle attuali terapie contro il virus HIV è di impedire la sua moltiplicazione all'interno delle cellule. Per raggiungere questo risultato si utilizzano dei farmaci che bloccano la replicazione del virus agendo su due enzimi che sono indispensabili alla replicazione stessa: la transcriptasi inversa e la proteasi. Gli inibitori della Trancriptasi sono farmaci in grado di bloccare l'azione di tale enzima e quindi impediscono l'infezione della cellula da parte del virus e la sua moltiplicazione. Nessuno dei farmaci antiretrovirali finora sperimentati è in grado di assicurare la guarigione, per un trattamento a lungo termine. Il problema principale che si presenta all'uso di questi farmaci antivirali è che possiedono un grado più o meno elevato di selettività, comportando o la selezione di mutanti resistenti o un certo livello di tossicità. Questo problema potrebbe essere superato, o minimizzato, da:
Una terapia combinata, potenzialmente capace sia di esplicare un più efficace blocco della replicazione, sia di prevenire la selezione dei mutanti resistenti ai vari farmaci;
Un impiego molto precoce, da iniziare in un momento in cui la replicazione virale è scarsa.
Attualmente i farmaci più usati, da soli o combinati tra di loro, sono:
AZT (zidovudina)
DDI (didanosina)
DDC (zalcitabina)
3TC Epivir (lamivudina)
Rescriptor (delavirdina)
Viramune (neviraina)
Saquinavir (invirase)
Ritonavir(norvir)
Indinavir (crixivan)
Bisogna sottolineare che questi farmaci, anche se non guariscono devono essere usati il più precocemente possibile, in quanto permettono una significativa, aumentata e migliore sopravvivenza. Inoltre è necessario raccomandare a questi pazienti, l'inizio precoce della profilassi di alcune malattie quali la polmonite da Pneumococco e la neurotoxoplasmosi.
Un nuovo metodo di cura sperimentata negli Stati Uniti negli ultimi sei mesi del '96 è nota come HAART, Alta Attività Anti Retrovirale Terapia, che mostra indubbi e impressionanti risultati a corto termine sugli effetti del carico virale, che ritardano la progressione della malattia e prolungano la vita.
L'HAART è la doppia combinazione di inibitori e cocktail di tre o quattro farmaci, si tratta di un trattamento antivirale aggressivo.
Il trattamento con il nuovo sistema di farmaci (HAART) ha dato risultati positivi, tuttavia mancano dati sui risultati a lungo termine, sugli effetti collaterali che producono, sui tempi dell'assunzione.
Il ricercatore anglocinese David Ho, propone una nuova cura: la "triterapia"; sono disponibili due tipi di medicinali, che vengono somministrati in diverse associazioni. Si tratta "degli inibitori della transcrittasi inversa" e degli "inibitori della proteasi", due enzimi necessari al virus per continuare la sua diffusione nell'organismo. Il primo permette al virus di "trasformare" il proprio codice genetico e di andare quindi a "mescolarlo" con quello della cellula umana, infettandolo. Il secondo invece consente al nuovo virus di uscire dalla cellula e attaccarne altre. Inibendo la proteasi si formano particelle virali immature non infettive.
La triterapia, per funzionare in maniera ottimale, dovrebbe cominciare immediatamente dopo il contagio, cioè al momento della prima infezione. I sintomi sono disturbi spesso molto sfumati, come stanchezza, diarrea, o gonfiore delle ghiandole, che ricordano quelli della mononucleosi. In questa fase, una volta accertata l'infezione, una bomba farmacologica contro i virus consente di distruggerne la grande maggioranza, proprio nel momento in cui cominciano a replicarsi.
Per ora il prezzo è elevato. Il cocktail di farmaci scelti (ne sono disponibili diversi tipi) costa almeno un milione e mezzo al mese. In più bisogna contare gli esami necessari per controllare l'efficacia della cura.
I controlli da effettuare devono misurare regolarmente il livello nel sangue dei CD4, i linfociti (cellule difensive del sistema immunitario) che vengono attaccati direttamente dal virus, inoltre per controllare l'efficacia della terapia, è necessario anche la rilevazione della carica virale. Cioè contare quante particelle virali ci sono in circolazione nel sangue. Se sono poche, significa che la cura sta facendo effetto e l'infezione è sotto controllo.
Stando alle statistiche circa un 20-30% delle persone in terapia cade nell'errore delle "drug hoilidays". In pratica si prende una sorta di pausa nelle cure, e ciò può rappresentare un problema per l'efficacia delle terapie perché aumenta il rischio che il virus si "trasformi" senza il pressante influsso del farmaco diventando insensibile alle cure.
Il punto debole di queste cure e legato all'alta quantità di compresse (a volte anche più di 20 al giorno) che l'individuo sieropositivo deve assumere già nelle prossime fasi dell'infezione, quando ancora non presenta problemi, perché le cure sono più efficaci.
Gli effetti collaterali sono molti: nausea, vomito, mal di stomaco, mal di testa, disturbi nella percezione nervosa e debolezza. In più gli inibitori della proteasi possono provocare arrossamenti cutanei e diarrea.
Quando il virus viene attaccato dai farmaci cerca di trovare il modo di superare indenne l'azione dei medicinali. Ottiene questo risultato modificando la propria struttura, e quindi elimina il punto di attacco sui cui agiscono i farmaci, si tratta quindi di mutazioni del virus.
Gli obiettivi che i ricercatori si pongono sono:
- aumentare i punti di attacco dei farmaci al virus, puntando la mira su altri enzimi virali
- agire sulle risposte immunitarie dell'organismo della persona in cura.
Gli enzimi su cui punta questa nuova cura sono le INTEGRASI. Si tratta di particolari sostanze che fanno in modo che il virus "una volta integrato" il proprio materiale genetico con quello delle cellule che ha infettato, riesca a ri-assemblarsi. Con questi farmaci, attesi nei prossimi anni, si vanno a colpire quindi tutte le fasi dell'infezione cellulare.