Favole: ebbene sì, mi piacciono le favole, mi fanno pensare o addormentare....

WATUSSA
00sabato 28 giugno 2008 13:49
Una favola e racconto Senegalese


Perchè ci sono tanti idioti

Tanto tempo fa c'erano pochissimi idioti nel mondo rispetto a oggi. Quando se ne trovava uno da qualche parte, subito era cacciato via dal villaggio. Oggi, invece, bisognerebbe cacciare via la metà del villaggio e ancora ciò non basterebbe. Ma come si spiega che ci sono in giro tanti idioti? Ecco come sono andate le cose... Un giorno tre idioti che erano stati cacciati via da un villaggio per colpa dei loro pettegolezzi, si ritrovarono ad un crocevia e dissero:
«Forse arriveremo a qualche cosa di utile se riuniremo l'intelligenza di tre teste stupide».

E proseguirono il loro cammino insieme: dopo un certo tempo, arrivarono davanti a una capanna dalla quale uscì un vecchio uomo che disse loro:
«Dove andate?».
Gli idioti alzarono le spalle e risposero:
«Dove ci porteranno le nostre gambe. Ci hanno cacciato via dal nostro villaggio per le nostre imbecillità».
Il vecchio rispose: «Allora entrate. Vi metterò alla prova».
Questo vecchio aveva tre figlie anche loro imbecilli e si dimostrò comprensivo.
L'indomani, chiese al primo idiota: «Tu, vai alla pesca!» E al secondo:
«Vai nel bosco e porta un masso legato con treccine di corde!»
Poi al terzo:
«E tu portami delle noci di cocco!»
Gli idioti presero un recipiente ciascuno, un'ascia e un bastone e si misero in strada. Il primo si fermò vicino al mare e si mise a pescare. Quando il suo recipiente fu pieno, ebbe di colpo sete; ributtò tutto il pesce in acqua e tornò a casa a bere.
Il vecchio gli domandò: «Dove sono i pesci?».
Egli rispose: «Li ho rimessi nell'acqua. Mi ha preso la sete e sono ritornato veloce a casa per bere.
Il vecchio si arrabbiò: «E non potevi bere al mare?» gli chiese.
L'idiota rispose: «Non ci ho pensato&...»
Durante questo tempo, il secondo idiota che era stato nel bosco, ma si preparava a ritornare a casa; si era reso conto che non aveva corda per legare i massi. Correva a casa appunto per cercarne una.

Il vecchio si arrabbiò di nuovo: «Perché non hai legato il tuo masso con una delle corde?». Egli rispose: «Non ci ho pensato...». Il terzo idiota montò sulla palma da cocco, mostrò alle noci di cocco il suo bastone e disse: «Tu devi buttare a terra queste noci di cocco, hai capito?»
Scese e cominciò a lanciare il bastone sul cocco. Ma non fece cadere nessuna noce. Anche lui ritornò a casa a mani vuote.
E una volta ancora il vecchio si arrabbiò: «Poiché tu eri sul cocco, perché non hai colto il frutto con le mani?».
Egli rispose: «Non ci ho pensato...».

Il vecchio seppe che non avrebbe combinato niente di buono con quei tre scemi.
Gli diede in moglie le sue tre figlie e li cacciò via tutti quanti.
Gli idioti e le loro mogli costruirono una capanna e vi vissero bene e male.
Ebbero figli tanto stupidi quanto erano loro, le capanne si moltiplicarono e gli idioti si disseminarono in tutto il mondo.
ilpoeta59
00sabato 28 giugno 2008 13:57
Le favole ci insegnano la vita da bambini ed è bello leggerle anche da grandi! [SM=x1583472]
WATUSSA
00sabato 28 giugno 2008 14:03
LA DANZA DEGLI GNOMI

Quando l'alba si levava,
si levava in sulla sera,
quando il passero parlava
c'era, allora, c'era... c'era...


... una vedova maritata ad un vedovo. E il vedovo aveva una figlia della sua prima moglie e la vedova aveva una figlia del suo primo marito. La figlia del vedovo si chiamava Serena, la figlia della vedova si chiamava Gordiana. la matrigna odiava Serena ch'era bella e buona e concedeva ogni cosa a Gordiana, brutta e perversa. La famiglia abitava un castello principesco, a tre miglia dal villaggio, e la strada attraversava un crocevia, tra i faggi millenari di un bosco; nelle notti di plenilunio i piccoli gnomi vi danzavano in tondo e facevano beffe terribili ai viaggiatori notturni. La matrigna che sapeva questo, una domenica sera, dopo cena, disse alla figlia: - Serena, ho dimenticato il mio libro di preghiere nella chiesa del villaggio: vammelo a cercare. - Mamma, perdonate... è notte. - C'è la luna più chiara del sole! - Mamma, ho paura! Andrò domattina all'alba... - Ti ripeto d'andare! - replicò la matrigna. - Mamma, lasciate venire Gordiana con me... - Gordiana resta qui a tenermi compagnia. E tu va'! Serena tacque rassegnata e si pose in cammino. Giunse nel bosco e rallentò il passo, premendosi lo scapolare sul petto, con le due mani. Ed ecco apparire fra gli alberi il crocevia spazioso, illuminato dalla luna piena. E gli gnomi danzavano in mezzo alla strada. Serena li osservò fra i tronchi, trattenendo il respiro. Erano gobbi e sciancati come vecchietti, piccoli come fanciulli, avevano barbe lunghe e rossigne, giubbini buffi, rossi e verdi, e cappucci fantastici. Danzavano in tondo, con una cantilena stridula accompagnata dal grido degli uccelli notturni. Serena allibiva al pensiero di passare fra loro; eppure non c'era altra via e non poteva ritornare indietro senza il libro della matrigna. Fece violenza al tremito che la scuoteva, e s'avanzò con passo tranquillo. Appena la videro, gli gnomi verdi si separarono da quelli rossi e fecero ala ai lati della strada, come per darle il passo. E quando la bimba si trovò fra loro la chiusero in cerchio, danzando. E uno gnomo le porse un fungo e una felce. - Bella bimba, danza con noi! - Volentieri, se questo può farvi piacere... E Serena danzò al chiaro della luna, con tanta grazia soave che gli gnomi si fermarono in cerchio, estatici ad ammirarla. - Oh! Che bella graziosa bambina! - disse uno gnomo. Un secondo disse: - Ch'ella divenga della metà più bella e più graziosa ancora. Disse un terzo: - Oh! Che bimba soave e buona! Un quarto disse: - Ch'ella divenga della metà più ancora bella e soave! Disse un quinto: - E che una perla le cada dall'orecchio sinistro ad ogni parola della sua bocca. Un sesto disse: - E che si converta in oro ogni cosa ch'ella vorrà. - Così sia! Così sia! Così sia!... - gridarono tutti con voce lieta e crepitante. Ripresero la danza vertiginosa, tenendosi per mano, poi spezzarono il cerchio e disparvero. Serena proseguì il cammino, giunse al villaggio e fece alzare il sacrestano perché la chiesa era chiusa. Ed ecco che ad ogni parola una perla le usciva dall'orecchio sinistro, le rimbalzava sulla spalla e cadeva per terra. Il sagrestano si mise a raccoglierle nella palma della mano. Serena ebbe il libro e ritornò al castello paterno.>>

WATUSSA
00sabato 28 giugno 2008 14:05
Il principe serpente (racconto della persia)



C'erano una volta un re ed un visir che erano amici da lunga data: entrambe le loro mogli aspettavano un bambino e decisero che se fossero nati un bambino e una bambina li avrebbero poi fidanzati e fatti sposare.
Ma quando nacquero, la moglie del re ebbe un serpente, mentre la moglie del visir una bellissima bambina.
La bambina e il serpente crebbero insieme, malgrado tutto: la bambina era contenta del suo amico, per lei non era un animale ripugnante.
Un giorno, erano ormai grandi, i due stavano giocando insieme quando di colpo la pelle del serpente cadde e venne fuori un bellissimo giovane.

Poco dopo il ragazzo riprese le sembianze del serpente.
Non visto, il re aveva assistito a tutto e chiese alla giovane di fare in modo che il figlio non diventasse più un serpente.
Quando il principe riprese la forma umano la ragazza gli bruciò la pelle di serpente. Lui allora la guardò e scomparve.
Disperata, la ragazza non sapeva più a chi rivolgersi.

Un giorno incontrò una vecchia maga, che le disse:
- Il tuo amato è lontano da qui: dovrai consumare sette paia di scarpe per trovarlo!
La ragazza allora partì attraverso strade, boschi, deserti e il giorno in cui finì di consumare il settimo paio di scarpe arrivò vicino ad un castello cupo, incastrato su una montagna.
Fuori c'era un leone malconcio, che le chiese qualcosa da mangiare: lei gli diede l'ultimo pezzo di carne che le era rimasto.
Poi trovò delle formiche, che le chiesero di aiutarle a ricostruire il proprio formicaio: lei fece come le era stato chiesto. Infine, sulla porta del castello c'era la porta che scricchiolava e lei usò l'ultimo olio che aveva per oliarla.
Entrò nel castello, in cui viveva un genio malefico, che aveva imprigionato il suo principe.
Lo trovò incatenato e lo liberò. Ma il genio si buttò al loro inseguimento.
Urlò alla porta:- Chiuditi e non lasciarli uscire!
Ma la porta gli rispose:- Lei mi ha unto ed ha avuto cura di me, non posso non lasciarla uscire!
Allora disse alle formiche:- Pungeteli e fermateli!
Ma le formiche risposero:- Non possiamo: lei ci ha aiutato!
Per finire il genio urlò al leone: -Sbranali!
- No, non posso, lei mi ha dato da mangiare!
Il genio non poteva allontanarsi troppo dal castello e si disintegrò nell'aria.
La ragazza e il principe tornarono al loro Paese dove si sposarono e vissero felici e contenti.
ilpoeta59
00sabato 28 giugno 2008 16:43
Secondo me la favola per eccellenza, quella che è veramente la metafora della vita, è Pinocchio!
ilpoeta59
00sabato 28 giugno 2008 18:52
Ci sono favole che nella loro apparente semplicità danno grandi insegnamenti di vita...

La lepre e la tartaruga - Esopo

La lepre un giorno si vantava con gli altri animali: - Nessuno può battermi in velocità - diceva. - Sfido chiunque a correre come me.
La tartaruga, con la sua solita calma, disse: - Accetto la sfida.
- Questa è buona! - esclamò la lepre; e scoppiò a ridere.
- Non vantarti prima di aver vinto replicò la tartaruga. - Vuoi fare questa gara?
Così fu stabilito un percorso e dato il via.
La lepre partì come un fulmine: quasi non si vedeva più, tanto era già lontana. Poi si fermò, e per mostrare il suo disprezzo verso la tartaruga si sdraiò a fare un sonnellino.
La tartaruga intanto camminava con fatica, un passo dopo l'altro, e quando la lepre si svegliò, la vide vicina al traguardo.
Allora si mise a correre con tutte le sue forze, ma ormai era troppo tardi per vincere la gara.
La tartaruga sorridendo disse: "Non serve correre, bisogna partire in tempo."
WATUSSA
00sabato 28 giugno 2008 19:44
La gente muore-Fiaba sudafricana-
Tanto tempo fa, la Luna, che muore e rinasce ogni quattro settimane, disse un giorno alla lepre:
- Va' e annuncia agli uomini che come io muoio e nasco di nuovo, anch'essi moriranno e rinasceranno. Purtroppo la lepre, nel riferire alla gente il messaggio della luna, fece una gran confusione. E infatti disse: - Come io muoio e non torno un'altra volta in vita, anche voi morirete e non rinascerete più. Quando la lepre fu di ritorno, la Luna le chiese che cosa avesse detto alla gente.
- Ho detto così: come io muoio e non torno un'altra volta in vita, anche voi morirete e non rinascerete più.
- Ma perché hai detto una cosa simile? - gridò la Luna infuriata. Le tirò addosso un bastone, la colpì sul muso e le spaccò il labbro.

La lepre fuggì via e da allora ha sempre avuto il labbro spaccato.
E gli uomini, da quel tempo, muoiono e non rinascono.
WATUSSA
00sabato 28 giugno 2008 19:50
ecco pinocchio per poeta
C'era una volta un falegname di nome Geppetto. Aveva costruito un burattino di legno e l'aveva chiamato Pinocchio. "Come sarebbe bello se fosse un bambino vero!" sospirò quando finì di dipingerlo. Quella notte, una buona fatina esaudì il suo desiderio. "Destati, legno inanimato, la vita io ti ho donato!" esclamò toccando Pinocchio con la bacchetta magica. "Pinocchio, dimostrati bravo, coraggioso, disinteressato," disse la Fata, "e un giorno sarai un bambino vero!" Poi, rivolta al Grillo Parlante: "Io ti nomino guida e consigliere di Pinocchio," aggiunse prima di svanire tra mille bagliori di luce. Figurarsi la gioia di Geppetto quando scoprì che il suo omettino di legno poteva muoversi e parlare! La mattina dopo lo mandò a scuola. "Addio figliolo, torna presto!" Pinocchio, disubbidiente, andò invece da Mangiafuoco, un burattinaio che promise di renderlo famoso. Si divertì molto a cantare e ballare con le altre marionette. Ma, finito lo spettacolo, Mangiafuoco lo chiuse in una gabbia. All'improvviso, ecco apparire la Fata Azzurra: "Perchè non sei andato a scuola?" gli chiese. Pinocchio rispose con una bugia e subito il suo naso cominciò a crescere... Solo quando disse la verità, la Fata lo liberò e il naso ritornò normale. Tornando a casa, Pinocchio vide una diligenza carica di ragazzi festanti. Il postiglione gli disse che era diretta al Paese dei Balocchi, dove i bambini potevano fare tutto quello che volevano. "Pinocchio, torna indietro!" lo rincorse il Grillo. Ma il burattino non lo ascoltò. Lì Pinocchio fece amicizia con Lucignolo: i due mangiavano dolci a più non posso e si divertivano moltissimo. Ma ben presto scoprirono che i ragazzi svogliati e maleducati che finivano in quel paese venivano tramutati in asinelli. Quando anche a lui spuntarono due orecchie lunghe e la coda, Pinocchio scappò disperato, seguito dal fedele amico Grillo. Insieme, tornarono poi alla casa di Geppetto, ma non trovarono nessuno. "Chissà che cosa gli sarà accaduto!" In quel momento, una colomba portò loro un messaggio: Geppetto, mentre cercava Pinocchio, era stato inghiottito da una balena e adesso era suo prigioniero. "Voglio salvarlo!" decise il burattino. Giunto al mare, si tuffò e sul fondo trovò il babbo nella pancia della balena. Ma come uscire di là? Accesero allora un gran fuoco: il fumo fece starnutire la balena, che spalancò la bocca. Pinocchio e Geppetto scapparono su una zattera. Il burattino aiutò il suo babbo a nuotare in mezzo alle altre onde: giunti a riva però, per il grande sforzo svenne. Addolorato, Geppetto lo portò a casa. Ma la Fata risvegliò Pinocchio e, come promesso, premiò il suo coraggio e la sua bontà trasformandolo in un bimbo vero!

ilpoeta59
00sabato 28 giugno 2008 19:55
Tonia, pensa che ne tengo 4/5 edizioni diverse, di cui una degli anni sessanta, illustrata con delle tavole a colori straordinarie!
WATUSSA
00sabato 28 giugno 2008 20:09
Re:
ilpoeta59, 28/06/2008 19.55:

Tonia, pensa che ne tengo 4/5 edizioni diverse, di cui una degli anni sessanta, illustrata con delle tavole a colori straordinarie!


ne ho ancoa una anch'io anni '60, me la regalò mia zia , per natale quando facevo la prima elementare...


ilpoeta59
00sabato 28 giugno 2008 20:12
Io stavo alle elementari e probabilmente me lo regalarono per una promozione...a quei tempi mica esistevano mp3 e cellulari! [SM=x611870]
WATUSSA
00domenica 29 giugno 2008 13:12
allora purtroppo o per fortuna non so non esistevano cellulari,mp3, video games, ma solo libri delle favole...in seconda elementare, per il compleanno mi regalarono una raccolta di fiabe..ne posterò qualcuna
WATUSSA
00domenica 29 giugno 2008 13:14
IL PIFFERAIO MAGICO
C'era una volta la città di Hamelin in Germania. Era una città molto graziosa, ma aveva due grossi difetti: i suoi cittadini erano molto avari e le sue cantine piene di topi.
Di gatti neanche l'ombra perché, siccome qualcosina costavano ai padroni, erano stati cacciati.
Fatto si è che i topi diventavano tanti e tanti che non era più possibile vivere nella città.
Si pensò allora di far tornare i gatti scacciati, ma i topi li misero in fuga.
Era una vita beata la loro.
Ce n'erano di tutti i tipi: topi, t'opini, ratti, rattoni e per tutti c'era da mangiare: nei granai, nelle cucine, dove c'erano molte forme di formaggio.
I poveri cittadini, non sapendo più che fare, si rivolsero al loro sindaco, ma anche quello più che dire: - Cercherò... Farò... Non so... - non faceva.
Ma ecco, che una mattina comparve in città un ometto minuto tutto brio e allegria che disse al sindaco: - Io vi libererò dai topi, ma voglio in cambio mille monete d'oro.
Al sindaco la richiesta non parve esagerata e promise la ricompensa, scambiando con l'ometto una bella stretta di mano. L'ometto, allora, prese da un sacchetto che portava a tracolla un piffero e diede due o tre zufolate. Subito i topi che erano nello studio del Sindaco, nascosti qua e là, balzarono fuori e, quando l'uomo uscì, lo seguirono.
Il pifferaio continuò a suonare in strada e nugoli di topi lo seguirono squittendo felici.
Nelle loro testoline vedevano montagne di formaggio tutte per loro, vedevano dispense con ogni ben di Dio pronte ad essere saccheggiate.
- Tutto per voi, tutto per voi, bei t'opini! - prometteva la musica che li attraeva e li affascinava.
E la marcia trionfale del suonatore continuò: da tutte le case uscivano a centinaia topi di tutte le dimensioni, di tutte le età: anche i più saggi e i più furbi tra loro credevano a ciò che la musica magica prometteva!
E la gente, affacciata alle finestre, appoggiata ai muri delle case guardava esterrefatta e felice quella smisurata fila di roditori che seguiva il suonatore.
- Se ne vanno! Se ne vanno! Ma è possibile? Oh, che gioia! Che il cielo sia benedetto!
Finalmente quando tutti i topi della città furono riuniti dietro a lui, il suonatore si avviò verso il fiume e le bestiole dietro, sempre più affascinate dalla musica magica. Il pifferaio entrò ad un tratto nell'acqua e quelli ancora dietro; avanzò ancora finché fu immerso fino al collo e i topi lo seguirono incantati e fiduciosi.
Egli allora si fermò in mezzo alla correte e seguitò a suonare e i topi per un po' nuotarono e poi, siccome da lui non potevano allontanarsi finirono per annegare tutti, nessuno escluso! Allora il suonatore uscì dal fiume, si scrollò l'acqua di dosso e si recò dal sindaco per ricevere la dovuta ricompensa. >>

WATUSSA
00domenica 29 giugno 2008 13:14
IL GATTO CON GLI STIVALI
C'era una volta un vecchio mugnaio con tre figli, un asino, un gatto soriano e nemmeno un becco d'un quattrino. Vecchiaia e fatiche avevano logorato il corpo e la mente del mugnaio, tanto è vero che, giunto alla fine dei suoi giorni, divise i suoi averi tra i figlioli: - Al primo Arduino, lascio il mulino; al secondo, Alvaro, il somaro; e per te, Germano, non ho che il gatto.- Arduino ed Alvaro erano felici: - Io con il mio mulino e tu con il tuo somaro faremo società con servizio di consegna del macinato al domicilio dei clienti. Ci arricchiremo in pochi anni! - Rimasto solo, Germano, diede un'occhiata al gatto e si grattò la testa: - Io - gli disse - lo so che sei un buon gatto e ti voglio bene. Ma se davvero sei furbo come dicono, taglia subito la corda e lasciami solo con la mia miseria. Con quel che so fare io posso garantirti soltanto tre cose: freddo d'inverno, caldo d'estate e fame tutto l'anno. - Il gatto che fino a quel momento non aveva mai detto una parola a nessuno, gli strizzò l'occhio e cominciò a parlare: - Tu caro mio, devi solo fare due cose, procurarmi un paio di stivali ed affidarti al mio ingegno; altro che fame! Fra tre mesi saremo a Corte! - Il giovanotto, tutt'altro che convinto, fece spallucce e gli diede una lisciatina sulla groppa: - E bravo gatto! - esclamò - Allora sai anche parlare! - Il bisogno aguzza l'ingegno e scioglie la lingua anche ai gatti - rispose la bestiola. Faceva abbastanza caldo e Germano, senza ribattere parola, portò il suo mantello di panno al monte di pietà e col ricavato comprò gli stivali al gatto e si sdraiò all'ombra, con le dita intrecciate dietro la nuca ad aspettare gli eventi. Il gatto, grande cacciatore, si mise subito al lavoro e meno di un'ora dopo stringeva tra le grinfie un bel leprone. Senza perdere tempo, con il suo leprone in sacco, andò alla Reggia e si presentò al Re. Si prosternò ai piedi del trono e tirò fuori la lepre gridando: - Ecco Maestà: mi invia il mio signore e padrone, il Marchese di Carabas, con questo piccolo omaggio destinato al reale salmì...- Al Re che era un buon gustaio, non parve vero accettare il dono; ma chi era quel simpatico Marchese, mai sentito nominare? Boh! Anche sua figlia, la principessa Isabella era rimasta bene impressionata dalle parole del gatto. Il quale intanto, era già fuori a procurare un po' di cena per sé e per il padrone. E la mattina dopo, all'ora giusta, eccolo di nuovo a Corte, stavolta con quattro favolosi fagiani dorati: - Ti porto, o Sire, un modesto omaggio del mio signore e padrone, il Marchese di Carabas, per i reali arrosti. E il Re, a sfogliare il libro della Nobiltà nella vana ricerca di quello sconosciuto Marchese. E la bella Isabella, a sognare a occhi aperti un possibile matrimonio con un così generoso e sollecito suddito. Insomma, per farla corta, tutte le mattine per più di un mese, si ripeté a Corte la medesima scena del gatto con gli stivali latore di gustosissimi messaggi da parte del Marchese di Carabas, suo signore e padrone. Venne luglio, gran calura e grano maturo nei campi. Una mattina il gatto sapendo che il Re sarebbe uscito con la figlia per fare un giro rinfrescante sulla carrozza dorata, svegliò presto il padrone che dormiva sotto un pino e , tutto eccitato, gli gridò: - Presto, presto, padroncino, spogliatevi dei vostri stracci e immergetevi nel l'aghetto tra poco passerà di qui la carrozza reale! >>

WATUSSA
00domenica 29 giugno 2008 13:16
IL BRUTTO ANATROCCOLO
Era così bello in campagna, era estate! Il grano era bello giallo, l'avena era verde e il fieno era stato ammucchiato nei prati, la cicogna passeggiava sulle sue slanciate zampe rosa e parlava egiziano, perché aveva appreso quella lingua da sua madre. Intorno ai campi e ai prati c'erano grandi boschi, e in mezzo ai boschi si trovavano laghi profondi; era proprio bello in campagna!
Esposto al sole si trovava un vecchio maniero circondato da canali profondi, e tra il muro e l'acqua crescevano grosse foglie di farfaraccio, ed erano talmente alte che i bambini più piccoli potevano stare dritti all'ombra di quelle più grandi. Quel posto era selvaggio come un profondo bosco; lì si trovava un'anatra col suo nido. Doveva covare gli anatroccoli, ma ormai si sentiva quasi stanca, sia perché ci voleva molto tempo sia perché non riceveva quasi mai visite. Le altre anatre preferivano nuotare lungo i canali piuttosto che risalire la riva e sedersi sotto una foglia di farfaraccio a chiacchierare con lei.
Finalmente una dopo l'altra, le uova scricchiolarono. "Pip, pip" si sentì, tutti i tuorli delle uova erano diventati vivi e mettevano fuori la testolina.
"Qua, qua!" disse l'anatra, e subito tutti schiamazzarono a più non posso, guardando da ogni parte sotto le verdi foglie; e la madre lasciò che guardassero, perché il verde fa bene agli occhi.
"Com'è grande il mondo!" esclamarono i piccoli; adesso avevano infatti molto più spazio di quando stavano nell'uovo.
"Credete forse che questo sia tutto il mondo?" chiese la madre. "Si stende molto lontano, oltre il giardino, fino al prato del pastore; ma fin là non ci sono mai stata. Ci siete tutti, vero?" e intanto si alzò. "No, non siete tutti. L'uovo più grande è ancora qui. Quanto ci vorrà? Ormai sono quasi stufa", e si rimise a covare.
"Allora, come va?" domandò una vecchia anatra venuta a farle visita.
"Ci vuole tanto tempo per quest'unico uovo!" rispose l'anatra che covava. "Non vuole rompersi. Ma dovresti vedere gli altri! Sono i più graziosi anatroccoli che io abbia mai visto; assomigliano tanto al loro padre, quel briccone, che non viene nemmeno a trovarmi".
"Fammi vedere l'uovo che non vuole rompersi!" disse la vecchia. "Può darsi che sia un uovo di tacchina! Anch'io sono stata ingannata una volta, e ho passato dei guai con i piccoli che avevano una paura da non credere dell'acqua. Non riuscii a farli uscire. Schiamazzai e beccai, ma non servì a nulla. Fammi vedere l'uovo. Sì, è proprio un uovo di tacchina. Lascialo stare e insegna piuttosto a nuotare ai tuoi piccoli".
"Adesso lo covo ancora un po'; l'ho covato per così tanto tempo che posso farlo ancora un po'!". "Fai come ti pare!" commentò la vecchia anatra andandosene.
Finalmente quel grosso uovo si ruppe. "Pip, pip" esclamò il piccolo e uscì: era molto grande e brutto. L'anatra lo osservò.
"E' un anatroccolo esageratamente grosso!" disse. "Nessuno degli altri è come lui! Purché non sia un piccolo di tacchina! Bene, lo si scoprirà presto. Deve entrare in acqua, anche a costo di prenderlo a calci!".>>

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