Ramses II - Eroe Solare

mebahiah
00giovedì 29 maggio 2008 16:09
Ramses II - Eroe Solare

(da Hera)

Normalmente si pensa a Ramses II come a un grande stratega.
Poco analizzato invece è il suo legame con la Via del Guerriero della Luce, forse oscurato dalle sue imprese militari, ma nei bassorilievi dei templi, soprattutto ad Abu Simbel, egli viene celebrato come l'eroe archetipo per eccellenza.
Uno sguardo al lato esoterico del grande faraone.


Pochi sovrani nella storia egizia hanno eguagliato la grandezza di Ramses II, il cui regno durò dal 1279 al 1212 a.C. La sua longevità - visse fino all'età di 97 anni- unita alla sagacia che ne contraddistinse le gesta, ne fecero forse il più audace e coraggioso condottiero della storia egizia, pari solo al suo predecessore Tuthmosis 111.
Ricordiamo che fu proprio Ramses II a bloccare l'ingresso nel Delta del Nilo dei Popoli del Mare. Commissionò durante i suoi 67 anni di regno opere colossali (oltre che appropriarsi di alcune dei suoi predecessori) ed il tempio di Abu Simbél, fatto erigere per la sua "divinizzazione" ne è il lascito più significativo. Ramses è in grado di sfatare la falsa credenza che la grandezza spirituale dell'antico Egitto fosse tale solo fino al regno di Akhenaton. Già con suo padre Seti I, nehsuo tempio funerario ad Abydos, si raggiungono livelli d'arte eccelsi con codificazioni alchemiche di raffinata bellezza e simbolismo, a cui Ramses aggiunge alcuni elementi davvero toccanti, ma è ad Abu Simbel che questi riesce ad esprimere il concetto di "Grande Scienza Iniziatica" dell'immortalità e dell'eroe solare.
Prima di parlare di Abu Simbel attraverso l'analisi dei simbolismi in
siti nei suoi bassorilievi, vale la pena far notare che, come per il già citato Tuthmosis III. il cui regno fu contraddistinto da una leggenda in cui la Sfinge gli parla in sogno vaticinando la
sua ascesa a sovrano, anche Ramses II può vantare un alone leggendario grazie alla storia tramandata della battaglia di Qadesh, fatta rappresentare dal sovrano sui piloni esterni dei templi in commemorazione di una vittoria mai avvenuta. In realtà, lo scontro acerrimo tra truppe egiziane e ittite a Qadesh finì in un trattato di pace senza nè vinti nè vincitori. Eppure Ramses II celebrò di fronte
al suo popolo la vittoria rendendola eterna in una storia mitologica il cui fine non era solo propagandistico come invece affermano gli egittologi.


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mebahiah
00venerdì 30 maggio 2008 11:48
La Guerra Santa

La narrazione descrive la scoperta da parte di Ramses di una grande coalizione di popoli dall'Anatolia riunitisi intorno agli Ittiti, i nemici storici del-l'Egitto, un pericolo che Ramses non poteva trascurare. Dunque il sovrano marciò passando per la Palestina andando incontro agli avversari per sferrare un attacco in grande stile. Ma gli avversari schierarono forze ingenti, arrivando a contare oltre 3000 carri da guerra, ben oltre le capacità belliche dell'esercito egizio. E' qui che la leggenda narra di un tradimento. Ramses viene informato da alcuni dei suoi che l'esercito nemico era ad Aleppo per cui fa anticipare l'offensiva contro Qadesh, che egli pensava indifesa.
Il tradimento funzionò alla perfezione essendo la città presidiata da truppe armate e consapevoli dell'arrivo di Ramses. il sovrano fu quindi isolato dal resto delle sue forze, lasciate su posizioni troppo
arretrate e si trovò solo e indifeso contro l'intero esercito ittita. Sembrava la fine ma Ramses trovò il modo di invocare il padre Amon: «IO t'invoco, o mio padre Amon! Mi trovo tra una moltitudine di stranieri. Tutte le nazioni si sono unite contro di me. Le mie schiere mi hanno abbandonato (...) e quando chiamo nessuno ode la mia voce. Ma io credo che Amon valga per me più di milioni di soldati e di centinaia di migliaia di carri, più di innumerevoli fratelli e giovani uniti da un sol cuore! L'opera di molti uomini non è nulla! Amon è più grande di tutti. La mia voce raggiunge Hermonthis, Amon risponde al mio richiamo, egli allunga la sua mano verso di me e io esulto, egli chiama da dietro». Ramses sente la Forza del Dio compenetrarlo, ne sente la voce che gli dice: «io mi affretto verso di te, verso di te Ramses Meriamon. Io sono con te! Sono tuo padre, la mia mano è con te e io sono più utile di centomila uomini. Io sono il Signore della Forza, amante del valore. Ho trovato un cuore coraggioso e sono soddisfatto. Tutto ciò che desidero avverrà». La riunificazione tra l'uomo e il Dio crea un essere talmente potente da sconfiggere le schiere avversarie. E così che viene tramandata la storia sulle pareti del tempio di Luxor. Ma, come detto, non si tratta di propaganda.
Questa storia è talmente archetipica che sembra di rintracciarvi la base della vendetta della Luce tradita sulle tenebre, la stessa vittoria dell'eroe primordiale sulla relatività morte. In effetti, sono molti i legami tra la storia della vittoria di Ramses e quella di Cristo. In entrambi casi, l'eroe viene tradito, consegnato da solo nelle mani degli avversari, le "nazioni", come li chiama Ramses, termine che trova conferma nella Bibbia quando parla delle nazioni e principati quali sedi dei poteri oscuri «Il leone (simbolo solare del Cristo, N.d.R.) è balzato dalla boscaglia, il distruttore di nazioni si è mosso dalla sua dimora per ridurre la tua terra a una desolazione: le tue città saranno distrutte, non vi rimarranno abitanti», Geremia 4,7. In entrambi i casi, il re solare (Ramses e Cristo) abbandonato da tutti e davanti alla morte chiama il Padre che lo ascolta tino a compenetrarsi con lui a fondersi in un nuovo essere, più potente di prima, capace di sconfiggere l'oscurità e compiere la "vendetta sacra". Si tratta di una narrazione di quella hierostoria della Genesi che ha in sè il ciclo di Creazione, Degenerazione. Restaurazione manifestatosi in mille e più miti nella storia dell'uomo e che Ramses volle riproporre come archetipo della sua sovranità, di quel dramma cosmico che ha nel microcosmo spirituale dell'uomo il teatro di svolgimento di tale "Guerra Santa". La stessa parola "Qadesh" è molto simile all'ebraico "Qadosh" che significa "Santo". Dunque la "batta-glia di Qadesh" non è altro che la "Grande Guerra Santa" che ogni uomo combatte in sè dall'inizio dei tempi. Ramses assume in questo contesto una valenza universale, incarnando tutti i simboli spirituali del potere. Simboli che in Egitto erano l'espressione del divino e pertanto "parlavano" come aspetto del Verbo che aveva nel faraone il fulcro. Non va dimenticato che il sovrano oltre al potere sacerdotale incarnava il volto guerriero della divinità, di cui il frustino Nekheck era simbolo, nè che lo stesso Ramses durante il suo appello ad Amon invoca Hermonthis. città dedicata a Montu-Ra, un dio guerriero dalla testa di falco, l'aspetto bellico del dio Horus, esattamente come esiste un aspetto bellico del Cristo, il Cristo Guerriero appunto. Le raffigurazioni di Ramses sui piloni dei diversi templi di in effetti lo propongono nella silouette dell'Osiride celeste, di cui la costellazione di Orione è il corrispettivo stellare e così lo ritroviamo nel suo tempio ad Abu Simbel.
Orione è la costellazione che gli antichi, egizi compresi, associavano al "Grande Cacciatore". e quest'epiteto è proprio identificativo del guerriero, colui che abbatte le forze delle tenebre. L'indole bellica di Ramses fu dunque ben adattata a quel sistema di comunicazione che gli egizi chiamavano "Via di Horus", il sistema per rendere immortale un uomo e sancirlo un "Dio incarnato". E' la medesima dottrina che nell'ebraismo è definita della Merkhaba, cioè quell'insieme di conoscenze in grado di generare il Corpo di Luce o Carro di Gloria. infatti, nel pilone occidentale del tempio di Luxor, dove Ramses fece rappresentare la battaglia di Qadesh, questi è rappresentato sul suo Carro (quindi il suo Corpo di Luce - vedi pag. 86) nell'atto di scoccare una freccia con il suo arco. L'arco è l'alleanza tra il cielo e la terra («Io pongo il mio arco nella nuvola e servirà da segno del patto fra me e la terra» - Genesi 9:13) e anche l'arma che con le sue frecce «fissa ciò che è vola tilt» (il mercurio alchemico), dunque porta ordine negli elementi. La freccia, infatti, come la spada che fuoriesce dalla bocca del Cristo, è espressione dell'energia solare che si manifesta, dunque del verbo divino.


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mebahiah
00lunedì 2 giugno 2008 11:42
EGITTO ESOTERICO

Abu Simbel, la celebrazione divina

Tale dottrina trova ulteriore compimento e più sublime rappresentazione nel tempio rupestre di Abu Simbel, che non si discosta da questa lettura essendo una celebrazione alla Via di Horus nella persona di Ramses II. Il tempio fu totalmente dimenticato in seguito all'occupazione romana del-l'Egitto nel 30 a.C. e non fu riscoperto sino al 1813, quando l'esploratore svizzero-tedesco Ludwig Burckhardt lo trovò praticamente sepolto dalle sabbie del deserto. Fu l'esploratore italiano Giovanni Battista Belzoni il primo a entrare nel tempio nel 1817. Il sito di Abu Simbel con-tiene non uno, ma due templi: il Grande Tempio di Ramses II e il Piccolo Tempio dedicato a sua moglie, la regina Nefertari, che si trova 300 metri più a nord.
I due templi non sono costruiti con blocchi di pietra come accadeva spesso nell'Antico Egitto, ma letteralmente scolpiti
nella roccia viva della collina. Datato al 1250 a.C., il Grande Tempio era dedicato agli dèi Amon-Ra di Karnak, a Ra-Horakhti di Eliopoli, a Ptah di Memfi e allo stesso Ramses il divinizzato. Il Piccolo Tempio di Nefertari era, in maniera del tutto appropriata, dedicato alla dea dell'amore e della bellezza Hathor, dato che essendo Ramses II, Horus incarnato, Nefertari doveva incarnare sua moglie Hathor. Quando l'egittologo belga-olandese Jan van der Haagen collaborò con il team dell'UNESCO ad Abu Simbel negli anni Sessanta per salvarlo dalle acque del nascente lago artificiale Nasser, osservò prontamente che i raggi del sole nascente dapprima cadevano sulla fila di cinocefali, quindi, gradualmente mentre il sole saliva, passavano a colpire il disco solare sulla testa di Ra-Horakhti (che in origine probabilmente era dorato). Subito dopo illumina-vano i quattro colossi sino ai piedi, momento in cui l'intera facciata del tempio risplendeva della luce del sole che sorgeva. Non può esservi alcun dubbio che gli architetti avessero deliberatamente posizionato il tempio in modo che guardasse verso il sole nascente a est per creare lo spettacolare effetto luminoso ogni giorno.


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mebahiah
00venerdì 6 giugno 2008 00:14
La dualità e l'unità

Gli architetti di Ramses II impiegarono più di 30 anni per completare il Grande Tempio, come per l'intera ci viltà egizia una vera e propria celebrazione della dottrina alchemica del Corpo di Luce. La facciata del tempio è dominata da quattro colossi seduti su un trono scolpiti nella roccia della collina, che rappresentano il faraone. Con la loro altezza di 21 metri, sono di gran lunga le più alte statue mai trovate in Egitto. Gli antichi egizi non facevano nulla per caso e non crediamo di essere in errore se identifichiamo queste quattro statue di Ramses Il con i quattro elementi in equilibrio (Aria, Terra, Fuoco, Acqua) che compongono l'uomo divino. Il fatto che ogni statua sia seduta in trono rimanda al dominio sul lato caotico degli elementi stessi, in quanto il trono era il simbolo geroglifico della dea Iside, dunque dell'aspetto animico dominato. A conferma di ciò si può così spiegare l'altezza di Nefertari presente sui colossi, pari esattamente al sedile del trono, quale occulto simbolismo del femminile caotico trasformato in femminile divino, fondamentale base per ogni operazione trasmutativa. Al di sopra dei colossi e al centro dell'asse del tempio, è stata scolpita una statua del dio del sole Ra-Horakhti nell'usuale rappresentazione di uomo dalla testa di falco con il disco solare sul capo. La figura di Ra-Horakhti stringe il segno della forza (User) in una mano e il segno della verità (Maat) nell'altra, creando quindi la parola User-Maat-Ra. il "nome da trono" di Ramses II. Ra-Horakhti è Horus nell'Orizzonte, dunque il sole che risorge all'alba e il suo linguaggio fa riferimento alla Rigenerazione del Corpo di Luce. Ai due lati di Ra-Horakhti due rappresentazioni del faraone che offre Maat, la dea della giustizia proprio al livello del cuore del corpo di Ra-Horakhti. Perché una doppia rappresentazione? Perché tutto nell'antico Egitto era duale e doveva riequilibrarsi nell'unità originaria (si pensi ad esempio all'Alto e Basso Egitto). Ognuna delle due immagini di Ramses II sembra essere a sua volta sdoppiata, fatto confermato dalla corona Kepheresh che non è singola bensì doppia. Siamo ancora una volta di fronte al concetto di unità che nasce dalla dualità. Inoltre questa rappresentazione si può leggere anche come l'unificazione e il perfezionamento dei quattro elementi, due maschili (a sinistra di Horakhti) e due femminili (alla sua destra) che sanciscono la nascita dell'uomo divino. Ricordiamo che tale nascita. puramente spirituale è sempre associata alla Giustizia. Il perfetto era infatti chiamato "Giusto di Voce" o anche "il Giustificato" in quanto innalzato di fronte agli Dei e puro di cuore. Dunque l'offerta della dea Maat al livello del cuore di Horakhti è così perfettamente spiegabile. La sommità della facciata è costituita da una fila di 22 babbuini cinocefali. In Egitto si credeva che questi animali avessero l'abitudine di guardare in direzione del sole che sorge con le braccia sollevate, gridando ed emettendo particolari suoni in una sorta di rito del saluto alla divinità che risorge.
Il dio della scienza e della scrittura, Thoth, era il babbuino divino, e un'iscrizione del Nuovo Regno gli fa affermare:
«Io sono Thoth e io parlo la lingua di Ra come messaggero».
Un'altra iscrizione del Nuovo Regno descrive i babbuini sacri come «i babbuini che annunciano Ra quando questo grande dio sta per nascere... Si dispongono a entrambi i lati di questo dio finché non sorge dall'orizzonte orientale; ballano per lui, cantano per lui, cantano lodi per lui, gridano per lui... Sono coloro che annunciano Ra in cielo e sulla terra». Dunque, il babbuibo-Thot è strettamente legato alla rinascita sacra. Ma è il loro numero sulla sommità del tempio, cioè 22, a comunicare qualcosa, e crediamo che possa collegarsi ai 22 arcani maggiori dei Tarocchi, contrassegnati dalle 22 lettere ebraiche e associabili ai 22 archetipi, i quali rappresentano un vero e proprio percorso iniziatico dalle tenebre alla Luce e che hanno nel Matto (forse non casuale assonanza con la Maat egizia. la Giustizia) la Lama universale, rappresentandone l'inizio e la fine. Un numero voluto dunque, in un tempio dedicato alla rinascita. Prima di entrare nel Grande Tempio, alla base dei troni giganteschi, a destra e a sinistra, vi sono raffigurati i nemici del nord, gli ittiti e quelli del sud, i nubiani imprigionati e immobilizzati dal faraone. Anche qui possiamo ravvisare, come per la battaglia di Qadesh, un messaggio referente alla dualità, alle due forze caotiche opposte che vengono riunificate grazie alla giustizia di cui il faraone è simbolo e garante e in tal modo sono messe in grado di favorire la rigenerazione. Ecco perchè tali raffigurazioni sono poste alla base del trono, elemento femminile generante. «Se diventi pericoloso per lite, ti calpesterò, ma se tu mi riconosci non porrò il mio piede su di te» si legge nei Testi delle Piramidi, al passo 664. Al di sopra di queste scene, due immagini del dio del Nilo Hapi in forma ermafrodita (quindi androgino) stabiliscono l'equilibrio in ciò che è considerabile come la più chiara rappresentazione della colonna vertebrale e del controllo dell'energia kundalini nell'antico Egitto (alla base vi è una chiara allusione alle ossa pelviche del bacino)


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mebahiah
00lunedì 9 giugno 2008 18:33
Figlio della Giustizia

Entrando nel Grande Tempio, si viene immediatamente colpiti dalle due file di otto statue del re in forma di Osiride, ognuna alta più di 5 metri, conosciuta come la Grande Sala dei Pilastri. Qui una serie di scene di incredibile bellezza celebra le imprese di Ramses II, portandole su un piano archetipo come già visto al tempio di Luxor. In una splendida scena relativa ancora alla battaglia di Qadesh il sovrano è sul suo carro (il Corpo di Luce), ma la sua silouette è anche stavolta duplice. Le braccia, l'arco e il cavallo sembrano sdoppiarsi in una sorta di effetto stroboscopico quasi a voler suggerire non il dinamismo del movimento come vorrebbero gli egittologi, bensì come narra la leggenda, la sua compenetrazione con il Dio, la sua natura di Uomo-Divino e l'acquisizione delle sue capacità sovrumane, tipiche dell'Eroe eterno, del garante dell'ordine celeste in terra. Se ne ha conferma nel muro orientale, dove il sovrano, nella posizione associata ad Orione domina i nemici. Questi in numero di 10, cioè il numero divino per eccellenza, alzano le mani in segno di resa, replicando il segno geroglifico del Ka, il corpo spirituale per gli egizi. Trattasi ancora una volta di una metafora che esprime il dominio dell'iniziato sulle tenebre degli istinti materiali e l'afferrarne i capelli significa dominarne la forza. Lo stesso braccio destro, il braccio della giustizia è quello che esprime la potenza divina che domina quella bestiale. La mazza in-fatti per gli antichi egizi era associata ad Horus e al suo potere sovrannaturale di abbattere le tenebre e i suoi accoliti. Ancora una volta nella Bibbia ritroviamo interessanti analogie con questa scena egizia: «Con una mano prese il pinolo; e con la destra, il martello degli operai; colpì Sisera, gli spaccò la testa, gli fracassò e gli trapassò le tempie (...). Così periscano tutti i tuoi nemici, o Signore! Coloro che ti amano siano come il sole quando si alza in tutta la sua forza!» (Giudici 5.26). 11 passo si adatta perfettamente a quanto la scena rappresenta, dal faraone solare, l'amato dal Dio, che ritto sulle sue gambe spacca la testa dei nemici con il martello stretto nella mano destra. E ancora in Salmi 74.11 «Perché ritiri la tua mano, la tua destra? Tirala fuori dal tuo seno e distruggili!». Dunque, Ramses, ma questo vale per ogni individuo che incarna il Cristo, è espressione di una Giustizia guerriera. in quanto la Vittoria sul caos è frutto della forza del fuoco solare che grazie alla Vendetta Sacra riporta l'ordine originario e al ristabilimento della Giustizia. Ed infatti da una delle mani dei prigionieri spunta la piuma di Maat, simbolo di giustizia ottenuta, offerta al faraone-dio proprio da quelle energie che avrebbero dovuto atterrirlo e che ora sono al suo servizio.


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mebahiah
00venerdì 13 giugno 2008 21:20
Tre in Uno

Ma Ramses II volle di più. Attraversando la Sala dei Pilastri e le schiere di guardiani osiridei della resurrezione, si raggiungere l'altra estremità del tempio, che si trova a circa 60 metri all'interno della roccia naturale. Lì, in una piccola cappella sono sistemate quattro figure umane sedute che rappresentano, da sinistra a destra, il dio Ptah di Memfi, il dio Amon-Ra di Karnak, Ramses li e il dio Ra Horakhti di Eliopoli.
La scelta non fu casuale da parte di Ramses Il. Nel papiro di Leida si legge: «Tutti gli dei sono tre: Amon, Ra e Ptah. Non han-no un loro simile, il Suo nome è nascosto in quanto Amon, il Suo viso è Ra ed il Suo corpo è Ptah. Così, Amon, Ra e Ptah, fanno tre». Dunque, siamo ancora una volta di fronte ad una sottintesa unificazione delle potenze divine nell'uomo (nonostante si menzionino tre divinità le si identifica con "Suo", dunque un'unità), dove sia Amon che Ptah sono espressioni della forza celata nei due centri energetici della testa (Amon, l'Occulto, l'Ariete o fuoco celeste) e dell'eros (Ptah, il modellatore delle forme, il corpo, il fuoco terrestre) che si esprimono e divengono manifesti nella terza forza, Ra-Horus, il volto solare e cuore fiammeggiante che si attiva, l'Amore Divino o Spirito che apre l'ultimo sigillo nel centro cardiaco come fuoco spirituale. Ramses volle così definirsi "il Divinizzato", colui che aveva unificato queste forze cosmiche, che aveva completato la Grande Opera trasmutativa ed era in grado di sedere nel Sancta Santorum in compagnia degli dei che sentiva di aver compenetrato.


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