Totò...il principe della risata e dei modi di dire!

ilpoeta59
00martedì 26 settembre 2006 11:03


Siccome sono democratico, comando io.

In carcere, con rispetto parlando, stavo tra persone perbene

I parenti sono come le scarpe: più sono stretti e più ti fanno male.

L’acne giovanile si cura con la vecchiaia.

Sono un uomo di mondo: ho fatto tre anni di militare a Cuneo.

Lei puzza con la “p” maiuscola.

Il coraggio ce l’ho. E la paura che mi frega.

Era un uomo così antipatico che dopo la sua morte i parenti chiedevano il bis.

È’ incredibile come un bipede di genere femminile possa ridurre un uomo.

Devo andare a un funerale di un morto.

Chi dice che i soldi non fanno la felicità, oltre ad essere antipatico, è pure fesso.

Lei è un cretino, s’informi.

Prendo tre caffè alla volta per risparmiare due mance.

Tutti i giorni lavoro, onestamente, per frodare la legge.

E questa sarebbe la svolta a sinistra? Ma mi faccia il piacere! Svolti a destra e prenda il treno.

Il nostro paese è un paese di navigatori, di santi, di poeti e di sottosegretari.

Do ut des, ossia tu dai tre voti a me che io do un appalto a te.

Erano persone che non sapevano fare niente, tranne che mangiare. Mangiavano da professionisti.

L’educazione tante volte è vigliaccheria.

Parola d’onore d’ onorevole?

Tutto è perduto, anche l’onore.

Morto il barbiere, la barba s’allunga.

Se ognuno pensasse agli incassi suoi!

Ognuno fa la gamba secondo il suo passo.

Ai postumi l’ardua sentenza!

È la somma che fa il totale.

Questa è la civiltà; hai tutto quello che vuoi quando non ti serve.

Cavaliere, nessuno vuole farla fesso.., non c’è bisogno.

Gli avvocati difendono i ladri. Sa com’è... tra colleghi.

Nel dolore un orbo è avvantaggiato, piange con un occhio solo.

Sono un minorenne anziano.

Il lavoro: una vita sotto la dipendenza di un uomo qualunque.

Il ricatto, qualche volta, serve.

Questi modi sono interurbani.

La sua vita si svolge tra casa e chiesa... E va be’, ma nel tragitto che cosa succede?

Ti voglio ammazzare perché così ti insegno a vivere.

Chi non si arrangia è perduto.

Ragazzi miei, non me ne vanno bene due.

La notizia per ora è stata sottoufficiale; poi diventerà ufficiale.

Ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera.

La donna è immobile.

Non so leggere, ma intuisco.

Io quando fingo fingo sul serio.

Quando mi vengono i cinque minuti puzzo... puzzo di carattere.

Ricco si nasce non si diventa.

Modestamente, la circolazione ce l’ho nel sangue.

Io vorrei sapere perché tante persone, con tutti i mestieri che ci stanno, si mettono a fare i ladri.

Lei non è fisso? Eppure dalla faccia si direbbe di sì.

Per avere una grazia da San Gennaro bisogna parlargli da uomo a uomo.

In galera l’aria, quando riesce a passare, è ottima.

Noblesse òblige: la nobiltà è obbligatoria.

Non posso morire! C’ho un appuntamento.

Le macchine.., le macchine... sarà, ma non ragionano.

I ministri passano, gli uomini restano.

Ho paura, quello è un deputato.

E un affare? No, è un furto, garantisco io.

Toglimi una curiosità, tuo zio è sempre morto?

La donna è mobile e io mi sento un mobiliere.

E un caso di forza maggiore o di forza minore?

Mai che a un rinfresco dessero un piatto di spaghetti caldi!

Gli italiani prima hanno perso la guerra, poi hanno perso la pace.

A me i gatti neri mi guardano in cagnesco.

Come è gentile per essere una parente: sembra un’estranea!

Hai un’idea? Tu? È mai possibile?

Paese che vai, americani che trovi.

Non sono brutto mi arrangio.

Elena di Troia… Troia…Troia: questo nome non mi è nuovo.

A volte, anche un cretino ha un idea.


"A volte è difficile fare la scelta giusta perché
o sei roso dai morsi della coscienza o da quelli della fame"
Antonio De Curtis


Sono le 07.30 del 15 febbraio 1898 e nel rione Sanità, a Napoli, al secondo piano del numero civico 109 di via Santa Maria Antesaecula nasce Antonio De Curtis, in arte TOTÒ.

In realtà all'anagrafe viene registrato col cognome della madre, Anna Clemente, nubile. Il padre naturale era Giuseppe De Curtis, figlio di un nobile decaduto, un marchese che non aveva mai gradito, e per questo si era sempre opposto, alla relazione di Giuseppe (senza lavoro e da lui dipendente) con la bella popolana Anna. E solo più tardi nel 1921 la madre riesce a sposare il marchese Giuseppe che successivamente riconosce Antonio come suo figlio naturale.

Infine nel 1933 il marchese Francesco Maria Gagliardi adotta Antonio trasmettendogli i suoi titoli gentilizi.

Il nomignolo Totò glielo da la madre ed è sempre lei a provvedere all’educazione del piccolo Antonio, che ai banchi di scuola preferisce passare il tempo tra i vicoletti scoscesi di Napoli.

Dopo le elementari Totò viene rinchiuso al ginnasio del Collegio Cimino nel palazzo del Principe di Santobuono in via San Giovanni a Carbonara. Fu qui che un precettore mentre scherzava a fare la boxe con i suoi allievi (o per calmare l’irrequietezza del giovane Antonio) lo colpì involontariamente al naso, provocandogli un’emorragia e la deviazione del setto nasale che in seguito portò all’atrofizzazione della parte sinistra del naso. Questo determinò un dislivello di un centimetro fra i due lati del volto caratterizzando in maniera inconfondibile l'espressione di Totò.

Durante le cosiddette "periodiche", le feste fra amici e parenti, Totò si diverte ad imitare il fantasista Gustavo De Marco, molto noto a Napoli in quel periodo.

Quando confessa alla madre il suo desiderio di diventare attore e la donna non vede di buon occhio questa "professione", decide di farsi prete. Inizia "la carriera" come chierichetto ma quando il prete della parrocchia di San Vincenzo finalmente decide che sarà proprio Totò ad aiutarlo sull'altare per la messa, per l'emozione dimentica le battute in latino, e si prende ceffoni dalla madre e rimproveri dal prete.
A 14 anni lascia gli studi va a lavorare come aiutante di mastro Alfonso, pittore di appartamenti, ma anche in questo lavoro non dura molto.

La sua prima esperienza con l’altro sesso, la deve agli amici che lo portano da Carmela, una prostituta di una certa età. La donna è una specie di istituzione: tutti i ragazzi per diventare uomini passano da Carmela. Questa sua prima esperienza sessuale però è negativa, infatti si accorge di aver contratto la gonorrea (lo scolo). Per paura di dirlo alla madre, confessa il "fattaccio" allo zio Federico (fratello della madre), che non ne sembra stupito e lo aiuta a curarsi.

Ben presto Totò passa dai poveri salotti di quartiere ai scalcinati teatrini della zona della, inziando ad esibirsi con lo pseudonimo di "Clerment" per una paga giornaliera di una lira e ottanta centesimi. Ma la madre si oppone nuovamente alla passione del figlio e così Totò all'età di 16 anni decide di arruolarsi nell'esercito.

Distretto Militare di Napoli Totò viene assegnato al 22° Reggimento di Pisa. Ben presto si accorge che che la vita militare non fa per lui e diventa uno specialista nel marcare visita inventandosi di volta in volta le scuse più strane. Qualche settimana dopo viene trasferito al 182° Battaglione di fanteria per per il fronte in Francia. Però prima della partenza il comandante del battaglione li avverte che divideranno le stanze insieme ad un reparto di soldati marocchini e di stare attenti alle loro strane abitudini sessuali. Totò rimane terrorizzato e alla stazione di Alessandria improvvisa un attacco epilettico perfetto per essere ricoverato all'ospedale militare. Da lì passerà all'88 Reggimento di stanza a Livorno.

In questo periodo conia il motto destinato a diventare celebre: "siamo uomini o caporali?", nato dall’incontro con un caporale ignorante e pretestuoso, che lo costringe ai compiti più umili.
Terminata la guerra Totò torna nella sua Napoli.

Qui Totò ricomincia subito a recitare in piccoli teatri col suo solito repertorio di imitazioni delle macchiette di Gustavo De Marco che il pubblico sembra non gradire più. Tenta di cambiare genere scrivendo e recitando "Vicoli" una parodia della canzone "Vipera" di E. A. Mario.

Nel 1919 lo troviamo a recitare alla "Sala Napoli" poi passa al più celebre "Trianon". Ma nel 1922 fu vittima di un clamoroso fiasco al teatro "Della Valle" di Aversa col suo repertorio di macchiette del De Marco. Questo fatto lo convince a lasciare Napoli e a partire per Roma.

Nella capitale, dopo vari tentativi, finalmente riesce ad ottenere una scrittura al "Teatro Jovinelli" dove ha molti consensi. Arrivano così i primi soldi e il suo nome sui manifesti. Ma è grazie al suo amico barbiere, Pasqualino, che riesce ad essere scritturato al "Teatro Umberto", un palcoscenico esclusivo e poco accessibile ai debuttanti. La strada era ormai in discesa: è conosciuto in tutta Italia, dal "Trianon" e dal "San Martino" di Milano al "Maffei" di Torino.

Nel 1926 decide di passare alla rivista con la compagnia di Achille Maresca in "Madame Follia" e "Mille e una donna".
L’anno dopo decide di ritornare nella sua Napoli e lì si esibisce all'"Eden": e finalmente è un successo formidabile.

Dopo due anni di spettacoli nei vari teatri dell'Italia settentrionale ritorna a Napoli nel settembre del 1929 con la compagnia "Molinari" per debuttare con "Messalina" al Teatro Nuovo. Di nuovo è un autentico trionfo. Di questa compagnia fa parte anche Titina De Filippo. Dopo "Messalina" seguono "I tre moschettieri", "Bacco Tabacco e Venere", "Santarellina", "'O balcone 'e Rusinella", "Amore e Cinema".

Al successo a teatro segue quello con le donne e agli inizi del 1930 è protagonista di una tragica vicenda d'amore che porta la una giovane e bellissima Liliana Castagnola al suicidio. Ed è in suo onore che battezzerà la figlia Liliana che nel 1934 nascerà dal suo matrimonio con Diana Rogliani Serena di Santa Croce.

I due si conoscono nel 1931 durante una tournée a Firenze. Diana, 16enne, napoletana di famiglia e educazione, si trova a Firenze ospite di alcuni parenti, si fa presentare a Totò una sera dopo averlo visto a teatro.
Tempo dopo si rivedono a Napoli e, nonostante il parere contrario della famiglia di lei, nella primavera del 1932 si sposano prima civilmente poi col rito religioso.
Il lavoro di Totò li costringe a girare l'Italia, e dormire ora in alberghi di lusso ora in pensioni di terz'ordine. Ma questo continuo girovagare segna l'inizio dei primi litigi. La nascita della figlia, appiana temporaneamente le cose. Totò è felicissimo e per festeggiare la nascita della figlia compra un'automobile "Balilla" di seconda mano con la quale porta a passeggio per Roma la neonata in fasce. La bambina ha solo 40 giorni quando inizia a seguire i genitori in giro per l'Italia.

La vera fine del matrimonio è causata dalla passione di Totò per le donne, le ballerine soprattutto, più che il girovagare per l'Italia. Nel 1937 i coniugi sono già in rotta e la bambina è affidata ad un asilo nido, ma alcuni mesi dopo Totò e Diana si rappacificano per amore di Liliana. Non dura molto.
Infatti nel 1939 i due ottengono in Ungheria una sentenza di annullamento del matrimonio, che l'anno dopo è confermata in Italia dalla Corte di Appello di Torino.
Per amore della figlia, nonostante la separazione, vivono ancora insieme per altri 10 anni, scambiandosi una promessa: aspettare il matrimonio e la sistemazione di Liliana prima di riprendersi la propria libertà.
Ma sul set di "47 morto che parla" Totò conosce Silvana Pampanini "maggiorata fisica" di quel periodo, e le fa subito la corte con fiori e regali consistenti.
I giornali dell'epoca ingigantiscono l'episodio, parlando di flirt tra i due attori e quando le voci giungono alle orecchie di Diana, l'ex-moglie di Totò reagisce a sorpresa accettando la proposta di matrimonio dell'avvocato Tufaroli conosciuto in casa Bragaglia.
Totò ci rimane malissimo: Diana non aveva mantenuto fede alla promessa che si erano scambiato anni prima. A Diana in quei giorni Totò scrive la celebre canzone "Malafemmina" che per anni si e' creduto avesse scritto per la Pampanini, finché non è stata ritrovata presso la SIAE la copia del testo con dedica autografa "A Diana".

Un passo indietro.
In Italia tra il 1932 e il 1933 inizia a diffondersi l’avanspettacolo: una forma di spettacolo che si avvaleva di compagnie dall'organico ridotto con due spettacoli al giorno della durata di 45 minuti circa, con copioni spesso improvvisati e pesanti battute pesanti a doppio senso, costumi di poco prezzo, in piccoli teatri dove si proiettano i film di terza visione.

Totò diviene impresario e finanziatore della propria compagnia e tra il 1933 e il 1940 porta in giro per l'Italia numerosi spettacoli, anche se gli inizi non sono esaltanti e spesso gli accadeva di guadagnare meno degli attori da lui ingaggiati.

Dal 1937 quando l'avanspettacolo inizia il suo periodo d'oro, le condizione economiche per Totò finalmente migliorano. Le macchiette mimiche de "Il pazzo" , "Il chirurgo" , "Il manichino" , vengono molto apprezzate dal pubblico. Ma nel 1940, proprio quando sta incominciando a rifarsi delle passate perdite economiche, l'avanspettacolo passa di moda e Totò è costretto a sciogliere la compagnia.

Nel Natale del 1940 inizia la collaborazione tra Totò e Michele Galdieri con la messa in scena della rivista "Quando meno te l'aspetti" al teatro "Quattro fontane" di Roma; lo spettacolo ottiene successi notevolissimi ed è rappresentato in tutta Italia fino al giugno del 1941. Con Totò ci sono anche Anna Magnani, prima donna, e Mario Castellani che sarà dal quel momento la spalla teatrale e cinematografica di Totò.

La seconda rivista "Volumineide", scritta sempre da Galdieri, è voluta dall'impresario dei favolosi "spettacoli Errepi" Remigio Paone, e inizia il suo tour da Ferrara il 20 febbraio 1942. Ad essa segue "Orlando Curioso" in scena nell'inverno del 1942 che, nonostante sia un continuo sbeffeggiamento alla censura, non viene mai censurata. Prima donna è Clalia Matania.

Nel dicembre del 1943 la Magnani torna a lavorare con Totò in "Che ti sei messo in testa?" in scena al "Valle" di Roma. Il titolo originale sarebbe dovuto essere "Che si sono messi in testa?" ma la censura lo fa cambiare a causa di allusioni alla pretesa nazifascista di tenere soggiogati interi popoli e di conquistare il dominio sul mondo. Una sera si sparge la voce dell'attentato ad Hitler e Totò, che adatta il copione all'attualità di quei giorni, si presenta improvvisamente in scena coi baffetti e col ciuffo incerottato e fasciato e attraversa la scena nel bel mezzo di un numero che tratta tutt'altro, e zoppicando scompare tra l'ilarità generale. Quella sera stessa un colonnello tedesco, suo amico, gli confida che il mattino seguente avrebbero arrestato sia lui che i fratelli De Filippo, poiché anche loro avevano preso in giro i nazisti. Dopo aver avvertito Peppino, Totò scappa a Valmontone.

Dopo la liberazione Totò e Galdieri riprendono l'attività con "Con un palmo di naso" in cui Totò finalmente può mettersi nei panni di Mussolini e di Hitler. Nel 1946 ha anche una breve parentesi all'estero, andando a recitare "Entre dos lucos" a Barcellona dove riscuote un successo così clamoroso che riceve proposte di lavoro anche dal Messico, ma decide di ritornare in Italia dove porta al successo altri spettacoli.

La sua avventura con il cinema inizia quasi casualmente qualche anno prima. Nel 1937 un giorno Totò è in compagnia di amici in un ristorante di Roma, quando si accorge che un uomo lo fissa continuamente: era Gustavo Lombardo che poi gli propone di interpretare un film e al termine del pranzo Totò ha già firmato il contratto per "Fermo con le mani"

La pellicola non ha un successo eclatante ma serve comunque per far conoscere l'attore ad un pubblico del tutto nuovo. Dal 1937 e fino al 1967 Totò interpreta 97 film visti da circa 270 milioni di persone, un record che non ha eguali nella storia del cinema italiano.

Il film che lo lancia anche nel cinema è "San Giovanni decollato" tratto dall'omonima commedia del siciliano Nino Martoglio. Questo film giova a Totò non tanto per il lancio pubblicitario che gli dà, ma soprattutto perché il principale sceneggiatore è un intellettuale molto conosciuto: quel Cesare Zavattini che diventerà poi collaboratore di Vittorio De Sica.
Infatti per questo film Totò è osannato dagli stessi critici che, anni dopo, lo stroncheranno spietatamente; commentando questo contrasto il principe osserva un giorno con amarezza: "Forse mi sono guastato col crescere".

Nel 1951, attraverso una foto di giornale entra nella vita di Totò la ventenne Franca Faldini, romana di nascita da famiglia ebrea. Appena vede quella foto sul giornale Totò se ne innamora subito e come al solito le manda un cestino di orchidee accompagnato da un biglietto in cui le chiede un appuntamento.
La Faldini acconsente a patto che siano presentati da amici comuni. Dopo il primo appuntamento si vedono sempre più spesso e tra loro nasce l'amore. Il Principe la vuole sempre accanto a sé e le trova anche una parte nel film "L'uomo, la bestia e la virtù". Dopo alcuni mesi di fidanzamento, il matrimonio è celebrato segretamente in Svizzera nel 1954 con rito civile, poiché il vincolo religioso con Diana non era stato possibile annullarlo.
La stessa Franca ha sempre smentito che il matrimonio sia avvenuto.
Nell'ottobre del 1954 Franca diede alla luce un bambino, Massenzio, che purtroppo muore il giorno stesso in cui nasce e Franca, colpita da albumina gravidica, si salva per miracolo. Massenzio viene sepolto a Napoli nella cappella gentilizia dei De Curtis.
Per la morte del figlio lo abbatte profondamente e solo l'amore per Franca, pallida e smagrita a causa della malattia, gli da la forza di continuare a vivere e a lavorare.
Totò e Franca così diversi per carattere, per mentalità e per la differenza d'età, hanno molti "scontri" e arrivano anche sul punto di dirsi addio, ma rimangono sempre insieme, con amore e rispetto reciproco, fino alla morte di lui.

Nonostante le critiche contraddittorie, nel 1956 Totò è ormai ricco e famoso e i suoi film vanno a gonfie vele. Liliana passa sempre più tempo con il padre e la casa del Principe è frequentata anche dai due nipotini. Nello stesso periodo Totò torna a teatro accettando la proposta del suo antico impresario, Remigio Paone nella rivista, scritta da Nelli e Mangimi, "A prescindere" e che aveva come prima donna la soubrette Yvonne Menard. Lo spettacolo debutta al Sistina di Roma il 1° dicembre 1956 con un pubblico delle grandi occasioni. Ma la rivista decolla solo qualche giorno dopo poiché Totò, come suo solito, aveva provato pochissimo.

Dopo due mesi passati a Roma la rivista fa tappa a Milano e qui Totò si ammala gravemente di broncopolmonite virale. Invece di curarsi e restare a letto, ma si imbottisce di antibiotici e dopo tre giorni ritorna in palcoscenico ma il fisico indebolito gli impedisce comunque di recitare.

Passata la malattia, la tournée li porta a Genova, seconda tappa. Qui cominciano i primi disturbi all'occhio destro. Totò che fin dal 1939 aveva subito una forte menomazione all'occhio sinistro, si vede perduto e si demoralizza. A Firenze le condizioni dell'occhio peggiorano, ma a Palermo avvenne il vero dramma: si accorge di essere diventato praticamente cieco.

Per mesi interi Totò rimane al buio ma grazie alle cure dei medici e allo spirito di abnegazione di Franca, verso la fine del 1957 le cose migliorano, e l'anno seguente riesce a tornare di nuovo al lavoro cinematografico interpretando un gran numero di film sempre avversati dalla critica ma che piacevano al pubblico.
Protegge però sempre gli occhi con un paio di lenti scure che toglie pochi attimi prima di entrare nel set.

Nel 1958 con l'avvento della legge Vanoni, Totò è costretto a vendere alcune proprietà per pagare un debito fiscale di qualche centinaio di milioni. Nel 1966 interpreta "Uccellacci e uccellini" di Pier Paolo Pasolini. E grazie a quest'ultimo film gli vengono assegnati il "Nastro d'Argento", il riconoscimento speciale della giuria del Festival di Cannes, e il "Globo d'oro" dei critici stranieri in Italia.

Agli inizi del 1967 interpreta negli studi Rai del Teatro delle Vittorie gli episodi di "Tutto Totò" una serie che ripropone al pubblico gli sketches più belli della sua carriera teatrale. Quell’anno ha in progetto anche di ritornare in teatro, con "Napoli notte e giorno" di R. Viviani prodotto da Giuseppe Patroni Griffi.
Il 13 aprile è sul set di "Padri di famiglia" di Nanni Loy e dopo avrebbe dovuto interpretare anche una parte in "Arabella" di Mauro Bolognini, e il ruolo di protagonista de "I fratelli Cuccioli" tratto dall'omonimo romanzo di Aldo Palazzeschi. Ma…

La sera del 13 aprile Totò confessa all'autista, Carlo Cafiero, che lo accompagna a casa a bordo della sua Mercedes: "Cafie', non ti nascondo che stasera mi sento una vera schifezza".
A casa il sorriso di Franca gli restituisce un po’ di serenità, ma forti dolori allo stomaco lo costringono a chiamare il medico, che giunto subito gli somministra dei medicinali raccomandandogli di stare tranquillo.

Il 14 aprile trascorre l'intero pomeriggio in casa a parlare con Franca del futuro, dell'estate che sopraggiunge e del suo desiderio di godersi le vacanze sopra Posillipo a Napoli. La sera consuma una minestrina di semolino e una mela cotta. Poi i primi sintomi: tremore e sudore.
"Ho un formicolio al braccio sinistro" mormora pallidissimo. Franca capisce subito: è il cuore. Avverte la figlia Liliana, il medico curante, il cardiologo professor Guidotti, il cugino-segretario Eduardo Clemente.

Gli vengono somministrati dei cardiotonici, ma le condizioni non migliorano. Alle due di notte si sveglia e si rivolge al cardiologo: "Professò, vi prego lasciatemi morire, fatelo per la stima che vi porto. Il dolore mi dilania, professò. Meglio la morte" e rivolgendosi al cugino "Eduà, Eduà mi raccomando. Quella promessa: portami a Napoli".
Le ultime parole sono per Franca "T'aggio voluto bene, Franca. Proprio assai"
Sono le 03.25 del 15 aprile 1967 e Totò ci lascia.

Le ultime parole di Totò non trovano però riscontro nel racconto della figlia Liliana, seconda la quale le ultime parole del padre sono: "Ricordatevi che sono cattolico, apostolico, romano"

Il 17 aprile alle 11,20 la salma viene portata nella chiesa di Sant’Eligio in viale Belle Arti e dopo una semplice benedizione, inizia l'ultimo suo viaggio a Napoli.
Giunge nella città natia alle 16,30 e già vicino al casello dell'autostrada del Sole c’è una marea di gente. Nella Basilica del Carmine Maggiore lo attendono circa 3.000 persone, mentre altre 100.000 sostano nell'immensa piazza antistante. Un lungo applauso saluta per l'ultima volta Totò, poi il suono delle campane.
Si dice che alcune persone sono colte da malore, per lo spavento provato nel vedere li' ai funerali, Totò vivo. L'uomo che tanto assomigliava al Principe era Dino Valdi, professione attore cinematografico, per molti anni controfigura di Totò.
L'orazione funebre è pronunciata da Nino Taranto, poi la salma viene portata nella cappella di famiglia dei De Curtis, dove e' sepolto accanto al padre Giuseppe, alla madre Anna, e a Liliana Castagnola.






michelle1mi
00mercoledì 27 settembre 2006 23:23
mitico [SM=g27828]
.Sammy.
00domenica 19 novembre 2006 17:29
Un vanto per Napoli,un tesoro per il resto del mondo!
ciacchi
00mercoledì 13 giugno 2007 01:20
lupetta821
00martedì 27 novembre 2007 00:03
io l'ho scoperto da poco, o meglio sapevo chi fosse, ma non avevo mai visto nessun film.
poi invece qualche anno fa ho cominciato a guardare qualche suo film e mi sono resa conto che è un grande artista, che ce ne sono pochi come lui, e che gli artisti di oggi prendono spunto quasi tutti da lui.
maldini
00martedì 27 novembre 2007 10:47
è che in quel periodo non c'era molto e lui è stato uno di quelli che hanno creato la comicità italiana
difficile per un giovane non trarre una parte di isparazione da alcune sue opere
mebahiah
00venerdì 14 marzo 2008 10:23
Totò...un grande artista, come pochi.

Come non ricordarlo con questa?

'A livella



Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo,e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto,statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io,tomo tomo,stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele,cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata,senza manco un fiore;
pe' segno,sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola,che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje:stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato...dormo,o è fantasia?

Ate che fantasia;era 'o Marchese:
c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo..calmo calmo,
dicette a don Gennaro:"Giovanotto!

Da Voi vorrei saper,vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir,per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va,si,rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava,si,inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente"

"Signor Marchese,nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo,obbj'...'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé..-piglia sta violenza...
'A verità,Marché,mme so' scucciato
'e te senti;e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri,nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.

'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"


ilpoeta59
00venerdì 14 marzo 2008 10:46

Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".



A Napoli usiamo dire: "Si a' gente pensasse nu' poco cchiù a' morte, nun se vedessero tante fetenzie" !!!

(Se la gente pensasse un pò di più alla morte non esisterebbero tante brutture).
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