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Campionato di Calcio Serie A 2021 - 2022. Tutte le partite - Calendario - Commenti.

Ultimo Aggiornamento: 25/05/2022 14:00
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La Salernitana spaventa l'Atalanta,
poi ci pensa Zapata: tre punti sudati

Ilicic ispira la rete decisiva dei nerazzurri:
un risultato che penalizza gli uomini di Castori,
protagonisti comunque di un'ottima gara


Mimmo Malfitano


Contano i tre punti. E questa sera a conquistarli è stata l'Atalanta. Ma, diciamolo subito, è stata una beffa per la Salernitana che avrebbe meritato almeno il pareggio. E avrebbe avuto anche qualcosa da recriminare. Ha vinto la Dea, perché Gasperini ha indovinato le sostituzioni inizio ripresa. E Ilicic è risultato quindi determinante, in occasione del gol di Zapata. Resta l'amarezza per la Salernitana che ha tenuto il confronto senza alcun timore, sfiorando in un paio di occasioni la rete e colpendo un palo con Obi, poco prima del vantaggio atalantino.

LE NOVITÀ — Gian Piero Gasperini schiera Miranchuk dal primo minuto con Ilicic in panchina, mentre a centrocampo Pasalic, preferito a Koopmeiners, fa coppia con Freuler. Nella Salernitana l'attenzione, ovviamente, è per Frank Ribery, che Fabrizio Castori fa esordire per la prima volta dall'inizio. In difesa Gyomber viene preferito a Bogdan, mentre alle spalle del francese agiscono Gondo e Djuric.

TANTA SALERNITANA — L'avvio dei granata coglie di sorpresa l'Atalanta. A spingere sono gli uomini di Castori, trascinati da Lassana Coulibaly. A centrocampo la Salernitana prevale di fisico e di tecnica. Il mediano maliano, insieme con l'omonimo Mamadou, lavorano sia in interdizione che in avvio di azione. Pasalic e Freuler soffrono l'irruenza del centrocampo avversario. Sulla destra spinge Kechrida che deve tenere anche Gosens. È suo il sinistro a giro (5') che sfiora l'incrocio dei pali di Musso. I difensori bergamaschi devono mostrare i muscoli per contenere Djiuric, che prevale sulle palle alte, e Condo che tra le linee riesce a trovare qualche buona giocata.

GASPERINI TESO — L'Atalanta ci prova con Gosens, ma il suo diagonale viene deviato in angolo da Belec (17'). La qualità di Frank Ribery è un belvedere, come le sue giocate per le incursioni degli esterni. Mamadou Colulibaly tenta di sorprendere Musso con un tiro da 30 metri: il pallone scheggia la traversa (21'). Sulla panchina Gasperini è nervoso, si agita e gesticola continuamente per dare indicazioni ai suoi giocatori. Ma nulla cambia, la sua Atalanta cerca la fisicità di Zapata che deve fare i conti con la determinazione di Strandberg. Il centravanti colombiano è l'unico che riesce a tenere impegnato la difesa granata. Castori segue con attenzione l'evoluzione dei suoi che, sul piano del ritmo, mostrano una buona condizione. Kechrida, a destra, va via a Gosens e effettua un tiro cross sul quale esce Musso, facendo suo il pallone. La prima frazione di gioco si conclude con la gomitata di Djuric a Demiral: entrambi vengono ammoniti, l'atalantino per proteste, innervosito dal taglio subito sul sopracciglio che i sanitari devono provvedere a suturare nell'intervallo. L'attaccante della salernitana viene graziato da Valeri, il suo gesto gli sarebbe potuto costare un rosso diretto.

TRE CAMBI — Non basta la sutura, la ferita riportata da Demiral è profonda e il difensore non rientra in campo. Al suo posto, Gasperini inserisce Djimsiti. Non è l'unica sostituzione, comunque, perché al rientro in campo nell'Atalanta non ci sono Pasalic e Miranchuk, sostituiti rispettivamente da Koopmeiners e Ilicic. Anche Castori provvede a un cambio. Frank Ribery ha speso tanto nei 45 minuti iniziali e lascia il suo posto a Obi. Pronti via e bastano 15 secondi a Gondo per costringere Musso a dimostrare tutta la sua bravura. Il destro dell'ivoriano è indirizzato all'incrocio dei pali, dove arriva la manona del portiere atalantino a deviare in angolo. L'Atalanta è confusa, messa alle strette dalla pressione della Salernitana, che si fa pericolosa al 6', quando dopo aver corso trenta metri palla al piede, Kechrida libera al tiro Djiuric che conclude fuori.

MAGIA ILICIC — Il talento di Ilicic non è comune, tant'è che da un suo magheggio nasce il gol di Zapata. Il bosniaco stordisce Bogdan con un paio di finte e appoggia per l'attaccante colombiano, appostato al centro dell'area: pronta la girata e l'Atalanta si trova, improvvisamente, in vantaggio (30'). Una vera e propria mazzata per la Salernitana, che appena sei minuti prima aveva colpito un palo con Obi. Sul finire della gara, la Dea sfiora il raddoppio con Zappacosta che raccoglie la respinta di Belec sul tiro di Zapata, ma mette fuori a porta vuota.

Fonte: Gazzetta dello Sport
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'ex Caputo (doppietta) e
Candreva stendono l'Empoli.
La Samp si rilancia

La squadra di D'Aversa dopo due pareggi e una sconfitta torna a Genova con tre punti.
Toscani praticamente mai pericolosi


G. B. Olivero


La Sampdoria trova a Empoli la prima vittoria stagionale e i gol di Ciccio Caputo: dominio blucerchiato dopo una ventina di minuti nei quali la squadra di Andreazzoli era stata pericolosa. Dopo il vantaggio doriano, però, la partita non è più stata in discussione. La doppietta di Caputo (che ha fatto soffrire i suoi ex tifosi) e la bella rete di Candreva hanno fissato in modo corretto il risultato. L’Empoli finora ha ottenuto solo la clamorosa vittoria allo Stadium contro la Juve, ma poi ha perso tre incontri in casa: la situazione è preoccupante e anche la posizione di Andreazzoli sarà probabilmente valutata dalla società.

PRIMO TEMPO — Andreazzoli preferisce Cutrone a Pinamonti: è l’unica novità rispetto alla formazione prevista alla vigilia. Nella Samp resta fuori Ekdal, il regista è Adrien Silva. L’Empoli parte forte e al 2’ Audero è bravissimo a evitare un gol di Mancuso, servito da Cutrone al limite dell’area piccola. La squadra toscana insiste spesso con i lanci lunghi per cercare la profondità e scavalcare i due centrali difensivi blucerchiati. La Sampdoria, invece, preferisce una manovra avvolgente e ragionata che metta in moto gli esterni Candreva e Damsgaard e coinvolga spesso le punte Quagliarella e Caputo. Al 14’ Bajrami perde palla e il contropiede doriano è pericoloso: Candreva, innescato dopo una combinazione tra Damsgaard e Caputo, salta Stojanovic e trova un buon riflesso di Vicario sul suo tiro radente. La Samp dà l’idea di poter pungere sfruttando gli errori avversari e al 31’ passa in vantaggio: Silva intercetta un passaggio di Haas diretto a Bajrami e avvia una ripartenza veloce che Candreva rifinisce per Caputo, bravo a segnare con un sinistro imparabile. La reazione dell’Empoli è concentrata in una discesa di Marchizza che crossa sul secondo palo: Audero è scavalcato, ma Mancuso non riesce a centrare la porta con una deviazione volante di destro. Nel finale di tempo due occasioni per Caputo: la prima, al 42’, è grande perché l’attaccante si trova da solo davanti a Vicario ma non riesce ad angolare la conclusione; la seconda, un minuto dopo, è di testa su corner e il pallone finisce alto.

SECONDO TEMPO — Nella ripresa non cambia il canovaccio della gara: Samp pericolosa, Empoli arrancante. Nei primi tre minuti Vicario deve respingere due volte su Damsgaard. Al 5’ traversa di Caputo che gira di destro una torre di Colley su azione d’angolo. Al 7’ lo stesso Caputo chiude in pratica l’incontro con un bel gol: riceve da Bereszynski, dribbla Luperto e calcia di sinistro. Vicario stavolta non è perfetto e la Samp raddoppia. Andreazzoli cambia tutto l’attacco, ma a parte un gol di Cutrone annullato per fuorigioco e un paio di conclusioni di Pinamonti e Zurkowski non ottiene nulla. La Sampdoria, invece, colpisce ancora al 25’ con Candreva che, servito da Quagliarella, salta Stojanovic e batte Vicario con un bel tiro a giro. Il resto è poco più di un allenamento.

Fonte: Gazzetta delo Sport
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Bourabia boom!
E lo Spezia passa a Venezia al 94’



Bastoni e Ceccaroni avevano cristallizzato il risultato sull'1-1.
La cannonata del centrocampista ha squassato l'equilibrio


Guglielmo Longhi

Il Penzo ritrova la seria A dopo 19 anni ma è una festa triste. Perché all’ultimo dei 4 minuti di recupero il Venezia trova una sconfitta che sa tanto di beffa. A decidere è Bourabia, uno dei cambi di Motta che a un certo punto decide di fare tutto da solo: prende palla tra Heymans e Forte, si accentra, va in orizzontale, poi tira. Il pallone s’infila dove Maenpaa non può arrivare. Per lo Spezia è la prima vittoria.

CHE BASTONI — Partita bella ed equilibrata che stava serenamente finendo con un giusto pari. Motta ha cambiato e scelto il 3-4-3. Bastoni e Ferrer sulle fasce e tre marcatori al centro: Armian, Erlic (che toglie il disturbo dopo 20 minuti: problemi muscolari, il rientro è stato affrettato) e Nikolaou. Il Venezia conferma uomini e modulo: è una sfida tra tridenti molto mobili. In quello di Zanetti Johnsen e Okereke si scambiano le posizioni per non dare punti di riferimento, quello di Motta vive sulle accelerazione di Antiste, francese come Henry, mentre Verde e Gyasi per tutto il primo tempo restano un po’ ai margini della partita. L’equilibrio si sblocca subito: al 13’ Maggiore per Bastoni che controlla e tira da 20 metri di sinistro sfruttando la libertà che gli lasciano Ceccaroni e Crngoj. Palo e gran gol: Maenpaa non ha colpe. Il Venezia che aveva cominciato meglio (tre tiri in porta nei primi 10 minuti), accusa il colpo e cerca di riorganizzarsi. Ma Vacca, schierato davanti alla difesa, lascia troppo spazio all’altro play, Sala che ha più spazio per impostare. La squadra di Zanetti riprende, però, l’iniziativa: Busio manda fuori (21’), lo stesso fa Henry (30’) al volo sulla bella palla di Johnsen da sinistra. Quindi: sostanziale equilibrio e ritmi non molto alti.

IL COLPO DELL'EX — Nel secondo tempo, parte meglio lo Spezia ma è il Venezia a pareggiare, con un gran colpo di testa di Ceccaroni, ex spezzino, su cross di Busio da destra. La partita cambia inerzia, stavolta è lo Spezia ad accusare il colpo. Motta smonta l’attacco e butta dentro Manaj, giocando con 4 uomini offensivi e svoltando verso il 4-2-3-1. Ritorna l’equilibrio, sembra un pari più che giusto. Poi nel finale…

Fonte: Gazzetta dello Sport
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La Lazio barcolla, poi Cataldi ci mette
una pezza: 2-2 show all’Olimpico

Il Cagliari di Mazzarri c’è:
Joao Pedro e Keita ribaltano il gol di Immobile,
poi il centrocampista fissa il pareggio.
A Sarri (squalificato) non riesce il rilancio


Nicola Berardino


Il 2-2 dell’Olimpico fra Lazio e Cagliari è un ricco contenitore per una gara intensa. Il gol di Immobile a fine primo tempo illude i biancocelesti a caccia della vittoria per dimenticare due sconfitte di fila. Dopo l’intervallo i rossoblù ribaltano con lucidità la gara grazie alle reti di Pedro e Keita. E la Lazio deve faticare per evitare la sconfitta: il gol di Cataldi porta a casa un punto quanto mai utile. Può ritenersi soddisfatto Mazzarri che in settimana ha rilevato Semplici: Cagliari attento, ordinato e giudizioso. Mentre la Lazio è ancora alla ricerca della sua nuova identità e soprattutto appare molto discontinua nell’arco della gara.

SBLOCCA IMMOBILE — Rispetto alla formazione opposta al Galatasaray, Sarri (squalificato, in panchina il vice Martusciello) fa rientrare dal primo minuto Reina, Milinkvoic e Luis Alberto. Mazzarri parte con il 3-5-2 ritoccando la difesa con l’ex Caceres e il centrocampo con Nandez. Lazio subito aggressiva: al 3’ Luis Alberto calcia al lato. Cagliari reattivo: un bel cross di Nandez non trova il pronto impatto a rete di Dalbert. Mazzarri rinsalda la retroguardia arretrando sulla sinistra Lykogiannis. I biancocelesti spingono, ma i rossoblù sono abili nel ribaltare il fronte e al 16’ Lazzari fa muro su un tocco a rete di Keita, l’altro ex di turno. E al 21’ il Cagliari si riaffaccia in area con un’incornata di Nandez: alta. La barriera difensiva dei sardi frena gli slanci della Lazio. Ceppitelli anticipa Immobile al tiro. Botta di Milinkovic parata da Cragno. Che sventa poi pure un’incursione di Immobile. Luis Alberto dopo uno scambio prova a farsi largo in area, ma la difesa di Mazzarri vigila. Nuova rasoiata di Milinkovic: sopra la traversa. Al 45’ la Lazio sblocca la gara con un bel colpo di testa su cross pennellato dalla destra da Milinkovic. Quinto gol in campionato per il bomber di Sarri. Prima dell’intervallo bolide di Luis Alberto fuori bersaglio.

RIMONTA ROSSOBLÙ — Al via della ripresa il Cagliari agguanta subito il pareggio. Joao Pedro, dopo uno scambio con Marin, con un colpo di testa sorprende Reina e sigla la sua quarta rete in questa stagione di A. Si ripristina il copione già visto sullo 0-0: Lazio arrembante, Cagliari blindato in copertura. Sul fondo un sinistro di Immobile. Che poi cerca di indirizzare a rete un pallone sfuggito a Cragno. All’11’ doppia sostituzione tra i sardi: Walukiewicz per Caceres e Zappa per Dalbert. Gara a tutto campo. Al 13’ palo esterno scheggiato da Nandez. Reina ribatte su Lykogiannis. Cresce il Cagliari. Al 17’ numero di Pedro che sguscia sulla sinistra e centra per Keita che infila Reina, firmando il 2-1. Primo gol in rossoblù per il senegalese. Risultato ribaltato. Due sostituzioni nella Lazio: Cataldi e Zaccagni al posto di Leiva e Pedro. Biancocelesti disorientati dalla riscossa del Cagliari. La squadra di Sarri si dà coraggio. Vani due tentativi a rete di Immobile. Al 29’ Mazzarri fa entrare Bellanova e Pereiro per dare il cambio a Lykogiannis e Keita. Nella Lazio Marusic avvicenda Lazzari. Cragno si oppone a Luis Alberto. Poco dopo assist dallo spagnolo per Immobile, il portiere del Cagliari riesce a deviare. La Lazio insiste. E al 38’ pareggia con Cataldi che si fionda su pallone ribattuto dalla difesa sarda: bordata che colpisce la traversa e scivola in rete. Altri cambi: Luis Alberto e Anderson cedono il posto ad Akpa Akpro e a Moro. Mentre Pedro viene sostituito da Pavoletti. Cinque minuti di recupero. Assedio biancoceleste. Incornata di Milinkovic controllata da Cragno. Espulso Zappa alla seconda ammonizione dopo un fallo su Zaccagni. Finisce 2-2 tra rimpianti e sospiri di sollievo reciproci.

Fonte: Gazzetta dello Sport
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Il Verona di Tudor batte la Roma in rimonta:
3-2 con magia di Faraoni



I gialloblù sbloccano la classifica, giallorossi al primo stop.
Ospiti in vantaggio con un gran gol di tacco di Pellegrini, poi le reti di Barak e Caprari,
l'autogol di Ilic e il sigillo di Faraoni


Massimo Cecchini

Gol, gioielli e colpi di scena. Tutto questo è stato uno spumeggiate Verona-Roma. Finisce 3-2 per i padroni di casa, che col nuovo allenatore Tudor si schiodano dallo zero in classifica e fermano la ormai ex capolista giallorossa, che pure era passata in vantaggio. Il risultato è santificato dalle reti di Pellegrini, Barak, Caprari, l’autogol di Ilic e la marcatura definitiva di Faraoni. Menzione speciale per la rete del capitano giallorosso - un colpo di tacco degno di entrare nella gallerai dei capolavori del genere, a fianco a quelli di Bettega, Mancini o Zola - e per quella del capitano gialloblù, la cui saetta all’incrocio sancisce il successo scacciacrisi.

GIOIELLO PELLEGRINI — Il canovaccio in avvio è quello che piace a Mourinho: giallorossi a trazione anteriore, ma pronti a cedere il possesso palla agli avversari per ripartire in velocità. Tra i titolari del 4-2-3-1, con Shomurodov al posto di Mkhitaryan, fra i tre dietro ad uno spento Abraham (oggetto anche di qualche “buuu”), e Calafiori per Vina - non convocato per un acciacco muscolare - la formazione è nuova di zecca, ma a essere diverso è soprattutto il Verona, che il subentrato Tudor schiera con un 3-4–1-2, in cui si alternano Barak e Ilic dietro le punte Simeone e Caprari. Nella tonnara della trequarti, però, il Verona s’incaglia spesso, tant’è vero che nella prima frazione si fa pericoloso soprattutto con tiri dal limite o da posizione un po’ defilata. Ci provano Simeone al 7 ‘(fuori di poco) e Barak al 22’ (Rui Patricio blocca), ma è nella seconda parte del tempo che i gialloblù sembrano prendere quota, quando al 29’ Lazovic, sfruttando una palla persa di Karsdorp, si traveste da egoista e, invece, di servire i compagni in area, va alla conclusione fuori di poco. Un minuto più tardi è ancora Simeone, allargato sulla destra, che tira in braccio al portiere giallorosso. Occhio, però, perché la vera sensazione di pericolosità la dà la Roma, che negli spazi verticalizza in fretta e in tre passaggi arriva spesso al limite dell’area dei padroni di casa, conquistando punizioni pericolose. Da una di queste, al 16’, Pellegrini calcia a favore di Cristante che irrompe sul primo palo, ma il suo colpo di testa colpisce “solo” la parte superiore della traversa. Tra le cavalcate di Zaniolo e Shomurodov, infatti, la squadra di Mourinho sa come guadagnare la profondità. Così al 36’, su un cross di Karsdorp, scaturisce il “miracolo pellegriniano”, ovvero quello straordinario colpo di tacco che di sicuro entrerà di diritto fra i gol più belli della stagione.

PERLA FARAONI — L’avvio di ripresa cambia tutto. Già al 4’, infatti, il Verona trova il pari grazie a un cross di Caprari, un ex, su cui entra in scivolata Mancini deviando verso la propria porta; Rui Patricio è bravo a deviare, ma nulla può davanti alla tap-in di Barak. L’inerzia cambia, perché la squadra di Mourinho alza il baricentro e lascia praterie ai padroni di casa, che a sinistra sfondano. Così ancora una volta è Caprari che si libera di Mancini in area e batte il portiere portoghese. E’ il 9’ e il Verona è in vantaggio. L’entusiasmo gialloblù cresce, Barak sfiora la traversa con una conclusione dal limite, ma quando la squadra di Tudor vola sulle ali dell’entusiasmo, un velenoso cross di Pellegrini al 13’ viene deviato nella propria porta di Ilic. La partita è riaperta, con le squadre molto più lunghe. Ne approfitta al 18’ Faraoni, che servito sui sedici metri trova un grande gol all’incrocio dei pali che scardina subito l’equilibrio, mantenuto anche da uno straordinario intervento di Rui Patricio ancora su Caprari. Mourinho corre ai ripari, e al 21’ e al 33’ cambia due volte pelle alla Roma. Prima inserisce El Shaarawy, Mkhitaryan e Perez, spostando Pellegrini in mediana, poi mette Smalling e disegna un 3-5-2 conclusivo che però produce pochissimo. L’unico tiro in porta è di Perez, che al 44’ costringe Montipò alla respinta con i pugni, mentre le conclusioni di Mancini, Pellegrini ed El Shaaawy vanno lontane dai pali. Morale: finisce qui la serie positiva della Roma, con Mourinho che però invita i giocatori ad andare sotto la curva ad applaudire i 1500 tifosi giallorossi. Dall’altra parte è il Bentegodi che esulta. A ragione, perché il Verona è rinato.

Fonte: Gazzetta dello Sport
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Morata illude la Juve, Rebic la ricaccia a -8: Milan primo con l'Inter

I bianconeri passano subito e dominano un Diavolo spento e
incerottato (k.o. anche Kjaer), ma nella ripresa il croato li punisce.
Per la Signora 2 punti in 4 partite


Marco Pasotto


L’occasione di spedire la Juve a -11 era decisamente golosa, ma il Milan può senz’altro accontentarsi di averla tenuta otto gradini più in basso: per come si era messa la partita e per ciò che il match ha raccontato, questo 1-1 acciuffato nella ripresa allo Stadium è un punto d’oro. D’oro perché permette al Diavolo – ovviamente in attesa di Udinese-Napoli di lunedì – di mantenere la testa della classifica, stavolta a braccetto con l’Inter. D’oro perché i bianconeri avrebbero meritato il successo.

La banda di Allegri invece si ritrova a masticare un’altra volta amaro dopo aver fallito l’opportunità di assestare finalmente una spallata a una classifica che resta terribile: 2 punti in 4 uscite. Il tecnico bianconero può comunque trovare conforto nella prestazione di una squadra in crescita e capace di annullare per lunghi tratti un avversario molto più rodato. Il Milan invece sa bene di averla scampata considerati tutti i cerotti con cui si era presentato a Torino: sei indisponibili più Kjaer che ha dovuto lasciare il campo alla mezzora. Difficile pensare di regalare tutti questi uomini alla Juve senza andare in difficoltà. Ecco perché questo pareggio è un punto fondamentale non solo per la classifica, ma anche per il processo di accrescimento dell’autostima.

LE SCELTE — Allegri ha risolto i vari dubbi sistemando – ma era l’opzione più quotata – Morata accanto a Dybala e piazzando Cuadrado davanti a Danilo sulla destra. Quindi, Chiesa in panchina (così come Bernardeschi, entrambi recuperati dopo il forfait di Malmoe). In difesa, dove c’era il ballottaggio più combattuto, l’ha spuntata Bonucci su De Ligt. La settimana di Pioli è stata da dimenticare perché ha perso un pezzo dopo l’altro. Pezzi importanti. Problemi in tutti i reparti. A Krunic e Bakayoko si sono aggiunti Ibrahimovic prima del Liverpool e poi Calabria e Giroud prima della partenza per Torino. Ma non è tutto: Maignan è salito sul pullman con una vistosa fasciatura alla mano sinistra, sgradita eredità di Anfield, tenendo in apprensione tutti. Il portiere francese alla fine ha stretto i denti e ha giocato. Davanti a lui la coppia Kjaer-Romagnoli perché Pioli al posto di Calabria non ha inserito Florenzi, né Kalulu (e nemmeno Conti, ovviamente), bensì allargato Tomori. Una novità assoluta, pur restando nell’ambito del 4-2-3-1. In mediana accanto a Kessie è tornato Tonali e davanti al consueto tridente si è piazzato Rebic.

STIMOLI — Il primo tempo del Milan, in parte, ha assomigliato a quello di Anfield. Magari con meno pressione da parte degli avversari, magari con qualche opportunità in più di gestire palla, ma comunque subendo a lungo le iniziative altrui. Perché la Juve invece è stata diversa rispetto a quella delle prime tre uscite in campionato. Forse stimolata dall’importanza dell’avversario e dalla classifica terrificante, i bianconeri hanno iniziato subito a dettare legge. Palla fra i piedi, azioni avvolgenti, con Alex Sandro a martellare senza tregua a sinistra e scambi di posizione continui fra Cuadrado e Bentancur a destra, cosa che il Milan soprattutto nella prima parte di tempo ha faticato a decifrare. Anche perché in quei territori spesso arretrava Dybala a cercare idee e spazi, complicando ulteriormente le letture rossonere. Juve agevolata nella pericolosità da un Morata particolarmente ispirato, nei movimenti e nella gestione della palla, bravissimo a dare profondità e a cercare la porta tutte le volte che ha potuto. E’ stato lui a sbloccare la gara dopo quattro minuti, ma qui va chiamato pesantemente in causa il Milan, che ha incredibilmente preso gol in contropiede su angolo a favore: Hernandez, da penultimo uomo a ridosso dell’area (l’altro era Saelemaekers), ha raccolto una respinta ma ha depositato sui piedi bianconeri, Dybala è scattato e ha servito Morata che ha percorso mezzo campo vanamente inseguito da Hernandez, superando Maignan con un magnifico scavetto. Spagnolo lucidissimo, Milan obbrobrioso considerata la dinamica. Scoperto e inerme dopo aver perso palla.

DOCCIA FREDDA — Gli unici spunti sono arrivati da Diaz, bravo a saltare l’uomo e a concludere, ma senza esito. Poi la luce si è spenta per tutti di fronte a una Juve aggressiva e determinata, scaltra nell’attendere nella propria metà campo per poi ripartire. Juve che è arrivata quasi sempre prima sul pallone, anche sulle seconde palle. Morata e Dybala hanno testato i guanti di Maignan, mentre dall’altra parte Szczesny si è limitato a osservare un Milan incapace di armare come al solito le fasce. Non pervenuta soprattutto la catena di sinistra, con Hernandez schiacciato verso il basso e Leao senza mordente. Intorno alla mezzora i rossoneri hanno provato ad aumentare la pressione, ma al 34’ è arrivata un’altra doccia fredda: problema muscolare per Kjaer e un’altra colonna della squadra sgretolata. Pioli ha inserito Kalulu, portando Tomori al centro. Nella ripresa la Juve ha lasciato ulteriormente l’iniziativa al Milan, scegliendo di attendere e ripartire in maniera ancora più accentuata. I rossoneri però non sono quasi mai riusciti a disegnare le loro trame perché rispetto al solito c’è stato meno aiuto fra i singoli e i reparti sono risultati più scollati, con l’area juventina mediamente sguarnita di maglie rossonere. I cambi, intorno al minuto numero 20: Bennacer per Kessie e Florenzi per Saelemakers da una parte, Kean per Morata e Chiesa per Cuadrado dall’altra. Il pareggio è arrivato all’improvviso, alla mezzora di un secondo tempo che stava scorrendo via con un’inerzia che pareva difficile da cambiare. E infatti è scaturito da una palla inattiva. Angolo di Tonali, Rebic ha preso il tempo a Locatelli ed è salito in ascensore: spizzata di testa nell’angolo più lontano impossibile da disinnescare. Il gol, a circa un quarto d’ora dalla fine, ha avuto l’effetto di rimettere più o meno sullo stesso piano le forze in campo, in una sorta di botta e risposta dove sono stati in diversi ad andare vicino alla rete. Kean e di nuovo Rebic per esempio. La Juve poi si è pericolosamente sgonfiata negli ultimi dieci minuti. Benzina finita, il Milan l’ha capito e ha tentato un colpaccio che è arrivato a sfiorare con un destro di Kalulu sui cui Szczesny ha compiuto un miracolo. Ma sarebbe stata una punizione davvero eccessiva per i bianconeri.

Fonte: Gazzetta dello Sport
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Spettacolo Napoli: vince 4-0 a Udine e vola in testa da solo



Segnano Osimhen, Rrahmani, Koulibaly e Lozano:
la squadra di Spalletti è l'unica a punteggio pieno in Serie A.
Azzurri primi da soli dopo tre anni e mezzo


Francesco Velluzzi

Comanda il Napoli. Che il quattro su quattro in avvio di campionato non lo faceva dal 2017. Con Maurizio Sarri in panchina. Ma Luciano Spalletti, tornato in panchina, dopo essersi riposato nel post Inter, ha dato solidità, concretezza, sicurezza, cinismo alla squadra. Che rischia poco, palleggia benissimo, ha super schemi sulle palle inattive, marcia come un rullo e in 52’ stende l’Udinese (gliene fa quattro senza subirne) e chiudendo la pratica facilmente. Sono 10 i gol segnati in 4 gare. Sono solo due quelli subiti. Come il Milan.

PRIMO TEMPO AZZURRO — Nel primo tempo due gol avevano, per la verità, tolto ogni speranza alla squadra di Luca Gotti che aveva illuso i suoi tifosi con sette punti nelle prime tre partite. A proposito, la Dacia Arena era sold out, nel senso che i biglietti a disposizione sono stati tutti venduti. Ma la Nord bianconera stavolta poteva risparmiarsi certi cori verso i napoletani. Fuori luogo e senza senso in una città che i napoletani li adora e in un club che ha avuto Totò Di Natale per anni come bandiera. Gotti non cambia, rispetta il suo canovaccio con la solita difesa, lo stesso centrocampo e Deulofeu e Pussetto a sgambettare davanti. Spalletti mette larghi Insigne e Politano con Osimhen al centro. Un tridente da paura. Ma i primi minuti sono dell’Udinese che trova buone combinazione tra Pereyra e Stryger e ha i due davanti che corrono. Dopo 5’ Pereyra reclama per un contatto in area con Di Lorenzo, ma per Manganiello non c’è nulla. Si deve attendere il 13’ per il primo brivido: Silvestri è bravo sulla conclusione di Insigne e respinge. Quattro minuti è Deulofeu che fa vedere che giocatore è: va in pressing ruba palla a Ospina, poi pressato non riesce a dar potenza al tiro. Ma al 24’ il Napoli passa: Mario Rui lancia Insigne a sinistra, Molina lo perde e il talento di Frattamaggiore batte Silvestri, che prova a uscire senza fortuna, con un pallonetto. Ma il gol è assegnato a Osimhen che la spinge dentro dando il tocco definitivo. L’Udinese accusa il colpo, Samir rischia per una dura entrata su Politano, Fabian Ruiz calcia da fuori e prende il palo e al minuto 35’ su una punizione forse eccessivo, concessa per fallo di Becao (che protesta tanto) su Insigne il Napoli trova uno schema perfetto. Sempre Insigne, appoggia per Fabian Ruiz che spedisce a sinistra dove Koulibaly, forse colpendo male, consente a Rrahmani di “entrare” bene a porta vuota di testa.

LA RIPRESA — Ritmo compassato, ma il Napoli sfrutta ancora i suoi schemi da palla inattiva e dopo sette minuti chiude la partita: corner di Insigne, palla a Politano che mette dentro Fabian Ruiz appoggia su Koulibaly al quale in questo periodo piace segnare e batte Silvestri con una gran botta da tiratore scelto. Gotti toglie Deulofeu e Pereyra e manda in campo Beto e Makengo. La gara non ha più senso, il Napoli la amministra da squadra di altissimo livello e Silvestri si supera per evitare altri gol. Non può evitare quello di Lozano a sei minuti dalla fine, un altro gioiello. Ora il Napoli guarda tutti dall’alto dopo aver regolato Venezia, Genoa e Juventus e, appunto l’Udinese. Giovedì nuova missione a Genova, stavolta a casa Samp. L’Unica squadra che ha fermato l’Inter. Per l’Udinese, invece, un’altra sfida complicatissima a Roma contro i giallorossi di Josè Mourinho che devono dimenticare molto in fretta il passo falso di Verona.

Fonte: Gazzetta dello Sport
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Juve sempre peggio.
E Allegri non l'avrei ingaggiato di nuovo, è come un pesce fuor d'acqua adesso.
La sua panchina..comincia ad essere a rischio.



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Re:
Sardius, 21/09/2021 11:56:

Juve sempre peggio.
E Allegri non l'avrei ingaggiato di nuovo, è come un pesce fuor d'acqua adesso.
La sua panchina..comincia ad essere a rischio.



2 punti in 4 partite, roba da non credere! [SM=x4983510]







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SERIE A 2021/2022 4ª Giornata (4ª di Andata)

17/09/2021
Sassuolo - Torino 0-1
18/09/2021
Genoa - Fiorentina 1-2
Inter - Bologna 6-1
Salernitana - Atalanta 0-1
19/09/2021
Empoli - Sampdoria 0-3
Venezia - Spezia 1-2
Lazio - Cagliari 2-2
Verona - Roma 3-2
Juventus - Milan 1-1
20/09/2021
Udinese - Napoli 0-4

Classifica
1) Napoli punti 12;
2) Inter e Milan punti 10;
4) Roma e Fiorentina punti 9;
6) Lazio, Atalanta, Udinese e Bologna punti 7;
10) Torino punti 6;
11) Sampdoria punti 5;
12) Sassuolo e Spezia punti 4;
14) Verona, Genoa, Empoli e Venezia punti 3;
18) Juventus e Cagliari punti 2;
20) Salernitana punti 0.

(gazzetta.it)
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Re: Re:
ilpoeta59, 21/09/2021 12:18:



2 punti in 4 partite, roba da non credere! [SM=x4983510]






già, col bilancio che si ritrovano poi post ronaldo..e intanto rilanciano la super lega!



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Tra Bologna e Genoa è 2-2:
tutto nella ripresa con Hickey,
Destro e i rigori di Arnautovic e Criscito

Dopo un primo tempo scialbo, nella ripresa la gara si vivacizza.
Nel caldo finale espulso Mihajlovic


Matteo Dalla Vite


Due rigori – con il secondo che fa infuriare Mihajlovic (espulso per proteste) - danno il 2-2 finale a una gara che si è accesa spesso e che poteva cambiare ancora a un secondo dalla fine se Sirigu non avesse fatto il Superman davanti a una zuccata sotto-porta e a colpo sicuro di Soriano. Bologna e Genoa fanno un passettino e sostanzialmente si sono divise meriti e demeriti, prodezze e ingenuità, gol e colpi più o meno qualitativi.

MINUTO E AGGRESSIONE — L’inizio è un abbraccio globale da parte dei 9000 che popolano il Dall’Ara: il tributo è ovviamente per Romano Fogli, scomparso a 83 anni ed eroe senza tempo (con anche gol nello spareggio del ’64 vinto sull’Inter all’Olimpico di Roma) di un Bologna tricolore. La squadra di Mihajlovic gioca con il lutto al braccio ricordando colui che era “Romanino” per tutti e dopo il minuto di silenzio c’è evidenza di una cosa: il Bologna ha ripreso la propria volontà di fare la partita, quella che era stata leggermente accantonata prima dell’Inter e che poi, proprio a San Siro, ha “accompagnato” l’1-6 a San Siro. Mihajlovic sceglie di riproporre Orsolini e Barrow, Arnautovic continua il suo tour de force là davanti e dietro restano Medel e Bonifazi in mezzo alla difesa; Ballardini non tocca troppo il proprio dispositivo, quindi mantenendo Maksimovic in mezzo alla difesa e piantando le tende nell’area avversarie con Destro (ex di 4 anni qui al Dall’Ara) e la rivelazione Kallon. Il dispositivo di Ballardini è un 4-4-1-1 con Hernani alle spalle di Destro: l’idea è evidente ed è quella di pressare e aggredire il Bologna, che nei primi venticinque minuti la palla la vede veramente poco. Tanto che Kallon (1’) e Cambiaso (parata di Skorupski) danno un senso alla strategia genoana. È un Bologna leggibile che fatica a salire metri su metri: due occasioni di Arnautovic (punizione, post parata di Sirigu su tiro di Dominguez) e Orsolini (tiro telefonato al 43’) danno un senso di reazione che però non porta a nulla.

BOTTA E RISPOSTA — Insomma, il Genoa ha riempito il primo tempo, il Bologna lo ha subìto ma all’alba della ripresa c’è Hickey che spacca tutto: Ballardini lascia in panchina Rovella e mette Behrami ma il suo Genoa è più basso rispetto al primo tempo. Così, una punizione calciata da Barrow, con torre di Arnautovic e botta di Bonifazi ribattuta, diventa il gol di Hickey, diagonale di sinistro che Sirigu non vede al 4’ s.t.Il vantaggio dura sei minuti perché quando Orsolini consegna praticamente la palla a Criscito, ecco che l’ex Zenit pennella un cross perfetto per la testa di Destro, zuccata morbida fra Medel e Bonifazi e 1-1 al 10’. Destro che poi, minuto 18’, arriva vicinissimo al colpaccio: Skorupski smanaccia la conclusione del genoano con fare quasi miracoloso.

ESPULSO SINISA — Mihajlovic infila Vignato e Skov Olsen, Ballardini mette Pandev e la gara si slaccia un po’ fino a quando Sirigu prende un colpo di testa sotto-porta di De Silvestri (31’, cross di Svanberg) e il Bologna un rigore: Vanheusden atterra evidentemente Sansone, Arnautovic batte ed è 2-1. Passano 4’ e Bonifazi (che prima riceve un colpo da Behrami) frana quasi addosso a Kallon in area: Fourneau dà ancora rigore, molto più dubbio del primo, Criscito fa 2-2 e Mihajlovic si fa espellere perché non è per nulla d’accordo. Finita qui? No, perché Soriano può fare 3-2 sotto-porta ma Sirigu sventa tutto: Superman è genoano.

Fonte: Gazzetta dello Sport
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Gosens-Zappacosta: l'Atalanta si rialza.
Sassuolo, continua il momento no



Nerazzurri avanti di due reti, Berardi accorcia nel finale di primo tempo, ma nella ripresa il risultato non cambia


Andrea Elefante

L’Atalanta è un tabù infinito per il Sassuolo, che alla terza sconfitta di fila si interroga, trovando comunque risposte positive anche in questa frenata: più nel secondo tempo che nel primo, in realtà dominato dall’Atalanta che solo poco prima del riposo ha un attimo di distrazione consentendo il gol del 2-1 a Berardi e solo dopo la mezzora della ripresa ha un attimo di cedimento, che comunque non le fa correre rischi particolari. E la produzione offensiva dei primi 45’, pur concretizzata solo con due gol, ha riproposto la versione più scintillante della Dea, che ora con 10 punti si prepara ad affrontare sabato l’Inter.

LE SCELTE — Il turnover di Gasperini riguarda principalmente Palomino, sostituito al centro della difesa da Demiral, e Freuler: accanto a De Roon, che rientra dopo quattro turni di squalifica, scelto per la prima volta da titolare Koopmeiners. Dopo il “riposo” di Salerno torna Pessina dietro le punte, che sono Malinovskyi e Zapata. Dionisi cambia tanto rispetto alla gara con il Torino, ovvero sei uomini: tre quarti di difesa, con Muldur e Kyriakopulos sulle fasce e Ayhan al fianco di Ferrari; Magnanelli davanti alla difesa assieme a Frattesi; Traoré “galleggiante” da mezzala in un 4-3-3 mobile e Boga assieme a Berardi nel tridente che non ha vero un centravanti, né Scamacca né Raspadori, ma Defrel nei panni di “falso nove”.

PRIMO TEMPO — Partita subito in discesa per l’Atalanta: neanche 3’ e un radente da destra di Malinovskyi non trova opposizione della difesa neroverde, ma sull’altro palo, il tap in vincente di Gosens. Potrebbe essere un duro colpo per il Sassuolo, che però riorganizza discretamente le idee e con il suo tridente che non dà punti di riferimento tiene bassa per un po’ l’Atalanta, sfiorando anche il preggio con Defrel, che prima “brucia” Demiral ma poi storpia la conclusione a porta vuota, altissima. Ma l’onda dell’Atalanta sale presto: la corsia destra diventa la più battuta e lì Malinovskyi cerca il sempre più irrefrenabile Zappacosta, che cerca Gosens, anticipato in extremis da Muldur. Altre due chance per la Dea con Pessina che gestisce male due ripartenze favorevoli, prima perdendo l’attimo per l’assist a Zapata o Gosens e poi allargando troppo il sinistro a porta quasi scoperta. Alla quarta occasione sprecata (cross di Zappacosta, alto il colpo di testa di Zapata) l’Atalanta teme la punizione del destino, ma è cpon una splendida azione iniziata da Koopmeiners e conclusa da Zappacosta - con la partecipazione di Zapata e Malinovskyi - che la squadra di Gasperini firma il 2-0. Ma certi sprechi tornano in mente proprio quando i nerazzurri sembrano avere la partita in mano: Berardi scappa a Gosens, punta la porta, e chiude con il sinistro sul palo di Musso, forse coperto al momento del tiro.

SECONDO TEMPO — La partita, come logico, cala di intensità nella ripresa. Cala soprattutto l’Atalanta che rischia subito il pareggio (Defrel mette fuori un cross molto interessante di Kyriakopoulos dopo 7’), sfiora l’allungo con Ilicic, su cui l’ex Consigli fa un mezzo miracolo, ma poi subisce per almeno 15-20’ la pressione del Sassuolo, che Dionisi rivitalizzaon i cambi piùà di quanto riesca a fare Gasperini. Ma come dice il tecnico, la sua squadra arriva con la testa dove non la spingono le gambe e resiste, rendendosi alla fine addirittura più pericolosa con Piccoli, che al 40’ è fermato da Consigli.

Fonte: Gazzetta dello Sport
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La Fiorentina dura un tempo, poi c'è solo l’Inter:
3-1 in rimonta e primo posto



Viola dominanti per 45’ e in vantaggio con Sottil.
Poi però finiscono la benzina e i nerazzurri, soli in vetta per una notte,
li travolgono con Darmian, Dzeko e Perisic.
Espulso Gonzalez


Luca Taidelli

Fabio Capello, uno che due cose di calcio le capisce, sottolinea spesso l’importanza di dosare lo sforzo. Vincenzo Italiano e la sua splendida Fiorentina ne dovranno fare tesoro in coda a una gara contro l’Inter stradominata in un primo tempo a tutta birra, salvo afflosciarsi come un souffle venuto male in una ripresa griffata dai gol di Darmian, Dzeko e Perisic dopo l’acuto iniziale di Sottil. Espulso Gonzalez. Prova sofferta ma da grande squadra per i campioni d’Italia, in vetta da soli per una notte.

LE SCELTE — Italiano a sorpresa punta sull’ex Benassi come terzino destro, e al rientrante Milenkovic affianca Nastasic. C’è Gonzalez, in dubbio per un affaticamento all’adduttore, a completare il tridente offensivo con Vlahovic e Sottil. Inzaghi invece va con i fedelissimi di queste prime giornate, riproponendo Darmian e Perisic sugli esterni a vantaggio di Dumfries e Dimarco. Torna Calhanoglu, mentre davanti le scelte sono obbligate, con Dzeko e Lautaro.

DOMINIO VIOLA — Pronti via e l’Inter viene aggredita, come successo in tutte le gare stagionali, tranne col Genoa. La Viola ha il sangue agli occhi, Handanovic ce l’ha freddo in uscita su Gonzalez, innescato da Vlahovic, cui De Vrij concede troppa libertà. I padroni di casa pressano altissimi anche con le mezzali, De Vrij si impappina ancora sul serbo il cui sinistro esalta Handanovic. L’Inter non riesce ad uscire dall’angolo innescando né saltando il centrocampo né azionando gli esterni. Anche Barella pare un agnellino di fronte agli assatanati Duncan e Torreira. Con Calha che gira a vuoto e Brozovic che deve proteggere la difesa, le punte restano isolate. Al 23’ la Fiorentina passa in vantaggio con pieno merito, anche se l’avvio dell’azione sembra viziato da un fallo di Gonzalez su Skriniar, che comunque non può essere rivisto al Var (così come un successivo mani di Biraghi di poco fuori area). L’argentino trova il fondo e pennella sul secondo palo dove Sottil deve solo appoggiarla in rete. I campioni d’Italia a questo punto provano ad iscriversi alla partita, ma più di una punizione di Calhanoglu intuita da Dragowski per 35’ non riescono a produrre. Sull’unico break propiziato da Brozovic, al 38’ Perisic induce Nastasic all’autogol ma era scattato in fuorigioco. Malgrado dopo la mezzora la Viola scali fisiologicamente una marcia, lo 0-1 all’intervallo rimane comunque un affare per Inzaghi e i suoi.

RIBALTONE — Si riprende senza cambi e con la Viola che sembra azzannare ancora il pallone. Inzaghi infatti manda a scaldare subito Dumfries e Sanchez. Candidati ad uscire Darmian e Calha, che però in pochi minuti sono i protagonisti del ribaltone. Al 52’ l’esterno non sbaglia il diagonale di destro sul tocco di Barella e la pareggia. Passano 3’ e il turco pennella il solito corner micidiale, tenere tutti i saltatori interisti è dura, Milenkovic argina Skriniar, ma Dzeko mangia sulla testa di Biraghi per il 2-1 che ammutolisce il Franchi. La Viola cerca di reagire, ma è Lautaro a mancare il colpo del k.o. al termine di un’uscita spettacolare rifinita da Barella. Italiano cerca forze fresche con Odriozola e Amrabat per Benassi e Torreira. Dumfries rileva Darmian e in un minuto promette molto con due sgasate. Vecino e Sanchez danno invece fiato a un Barella dolorante e ad un Dzeko sfinito. L’Inter prova a gestire, sull’errore di Dragowski il cileno spara alto da ottima posizione. Errori che si rischiano di pagare, se non fosse che Gonzalez rovina una grande gara prendendosi due gialli in un amen per proteste dopo una mancata ammonizione a Bastoni e lasciando i suoi in 10 nell’ultimo quarto d’ora. Inzaghi non si fida e chiude con Dimarco e Gagliardini per Perisic e Lautaro. La Viola però non esiste più, Vecino e Gagliardini scartano il cioccolatino per Perisic che chiude i conti.

Fonte: Gazzetta dello Sport
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Salernitana, ecco il primo punto.
Verona rimontato nonostante super Kalinic



La squadra di Castori rimonta da 0-2 e toglie lo 0 dalla sua classifica


Maurizio Nicita

Verona bello a metà, Salernitana brutta, sporca e cattiva ma più affamata. Finisce con un 2-2, tanti gol, legni e tante recriminazioni. Per i campani primi gol casalinghi e primo punto in classifica. Però i veneti devono interrogarsi sull’incapacità di controllare una gara che dopo mezz’ora è sullo 0-2 con la squadra padrone del campo. I granata di casa evidenziano limiti tecnici notevoli, ma Castori cerca di organizzare al meglio una difesa non all’altezza dando carattere e mentalità da combattenti ai suoi.

SCHIERAMENTI — Castori ripropone la squadra che comunque con l’Atalanta aveva fatto bene, cambiando solo Djuric e schierando il nigeriano Simy con a fianco Gondo e alle spalle Ribery. Tudor invece dopo la splendida vittoria con la Roma cambia un uomo per reparto, preferendo Magnani a Pellegrini dietro; inserendo il camerunese Hongla in mediana per Bessa e come centravanti a Simeone, preferisce Kalinic.


KILLER NIKOLA — E proprio il croato si scatena subito con un 1-2 che mette k.o. i generosi padroni di casa. Perché la squadra di Tudor resta bassa e attenta, fa sfogare un po’ la Salernitana sospinta dal proprio pubblico, ma appena può attacca con ripartenze chirurgiche. E dopo soli 7’ è già in vantaggio. È Lazovic a pescare in area Caprari, smarcatosi con un buon movimento, il romano serve Kalinic che deve solo spingere in rete. Ribery spinge i suoi alla reazione, servendo due buoni assist a Simy e Gagliolo che sprecano malamente. Il Verona regge e con spazi che diventano praterie arriva al raddoppio prima della mezz’ora. La verticalizzazione di Barak per Ilic è precisa e per il serbo è semplice smarcare Kalinic, che raddoppia con un colpo da sotto. Troppo tenera però la difesa dei campani, decisamente inadeguata. Ilic dopo l’assist però commette una leggerezza, con un fallo gratuito sulla trequarti a tempo praticamente scaduto. Ribery mette un invitante pallone sul quale Dawidowicz svetta ma finisce per lasciare la palla in mezzo e per Gondo è semplice sbatterla dentro proprio sotto la curva sud che finalmente può esultare per un gol in Serie A della propria squadra che mancava da oltre vent’anni in questo stadio.

TUDOR NON SI FIDA — Il tecnico del Verona non si fida e toglie Magnani, a rischio rosso, e Ilic preferendogli i muscoli in mezzo di Tameze. Pronti via ed è ancora Kalinic che fa tremare il palo sfiorando la tripletta. Ma l’allenatore lo toglie poco dopo perché Simeone tiene meglio palla per far salire la squadra. E inserisce anche Bessa per Caprari per avere più filtro in mezzo. Castori risponde togliendo lo spento Simy per Djuric, il quale si ritrova subito una palla che Ranieri mette in mezzo ma per una serie di rimpalli diventa una sfera da flipper. Il Verona ha una buona situazione sprecata da Lazovic, imbeccato da Simeone. Ma i veneti rinculano mentre la Salernitana spinta dalla disperazione non molla. E accade l’imponderabile, con Gagliolo che sballa una conclusione dai 20 metri: il tiraccio diventa assist per Mamadou Coulibaly abile a controllare di destro e a concludere di sinistro con una difesa veronese bassa e statica.


ANCORA UN LEGNO — Il Verona prova a ripartire e trova un’ottima punizione con Simeone. Barak la tira molto bene, ma a Belec battuto è l’incrocio dei pali a dire no. La sfida diventa confusa e prevale la stanchezza. La paura di perdere fa il resto: pari e patta.

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Juve, ecco la prima vittoria.
Ma che sofferenza con lo Spezia

In vantaggio con Kean, i bianconeri si fanno rimontare da Gyasi e Antiste.
Ma sono proprio i discussi Chiesa e De Ligt a firmare aggancio e sorpasso della squadra di Allegri


Livia Taglioli


E alla fine la Juve trovò la sua prima vittoria in campionato. Ma è stata una storia tesa, tutt’altro che scontata, contro uno Spezia mai domo. La trama sembra essere la solita: Juve in vantaggio, avversario prima in rimonta poi addirittura in sorpasso. Ma stavolta il finale è diverso: Chiesa firma il 2-2, De Ligt il 3-2 finale al Picco. Proprio loro due, i destinatari dei più recenti strali allegriani, hanno risolto e deciso il match, dopo che Kean aveva firmato il vantaggio bianconero e Gyasi e Antiste le reti liguri. Se la Juve non trova il clean sheet per la 19ª gara consecutiva in campionato, almeno un tabù è rotto: il secondo tempo da terra di conquista degli avversari per la prima volta diventa culla del gol juventino, e persino della vittoria. Ora in classifica i punti sono 5, in 5 gare. Sempre pochi, ma possono significare la svolta.

PRIMO TEMPO IN EQUILIBRIO — Le preannunciate novità di formazione fioccano al Picco: in difesa trovano spazio De Ligt (con Chiellini lasciato a Torino, febbricitante) e De Sciglio, con Chiesa sulla destra nel poker di centrocampo, lì dove McKennie dà a Locatelli un turno di riposo, e Kean in avanti, a far rifiatare Morata, recuperato ma in panchina. Nello Spezia si contano sei assenze, con Thiago Motta che schiera un 4-2-3-1 capace di chiudere tutti gli spazi e tenere compattissime le linee. Esattamente la situazione tattica che la Juve soffre di più, tanto che il primo tempo fa registrare parità non solo nel risultato ma anche negli equilibri in campo. La Juve si muove con ordine, prudente e circospetta, ma anche zavorrata dall’imperativo non solo morale dei tre punti. La squadra non decolla: non corre rischi, colleziona calci d’angolo, De Ligt manda alto di poco, ma la costruzione è poco fluida, gli spazi ristretti ma soprattutto impenetrabili, nonostante McKennie insista nelle verticalizzazioni e Chiesa stantuffi da par suo sulla destra, con più disciplina del solito. Capitan Dybala, alla 200ª volta da titolare con la Juve, fin qui si vede pochissimo, assorbito da un oscuro lavoro di raccordo, Chiesa è l’unico che provi l’affondo o il cambio di passo, spesso in coppia con Danilo. Per il resto è Juve prevedibile, cauta nel palleggio, più attenta a restare coperta che impegnata a costruire azioni offensive corali. Lo Spezia non trova difficoltà nell’evitarsi rischi, e trascorre una mezz’oretta di sostanziale tranquillità. Ci pensa Kean a vivacizzare la gara: al 28’ raccoglie un assist di testa di Rabiot e infila Zoet con un rasoterra. La sua ultima rete bianconera era arrivata nell’aprile 2019 contro la Spal, 893 giorni fa. Ma il sollievo dura poco: al 33’ Gyasi inventa un destro vincente da posizione angolata e firma l’1-1. Dybala dà un segno di vitalità chiamando Zoet a una deviazione in angolo non banale, e il primo tempo finisce qui.

AGGANCIO E SORPASSO — La ripresa parte con due cambi: dentro Alex Sandro e Locatelli, fuori De Sciglio e Bentancur. Ma la sorpresa arriva dallo Spezia: dopo 4’ il 19enne Antiste, che nella passata stagione giocava nella seconda divisione francese, sfugge a Bonucci e De Ligt e di destro batte Szczesny. Per la Juve, inchiodata ai suoi due punti in classifica, si fa davvero dura. Prova la reazione immediata Kean, ma un suo colpo di testa viene respinto d’istinto da Zoet, poi Chiesa serve l’accorrente McKennie che conclude alto dal limite. La Juve si riversa nella metà campo avversaria, ma, come già nel primo tempo, non dà l’impressione di dominare, nonostante il possesso di palla sia ampiamente a suo favore. Al quarto d’ora Morata subentra a Kean, Dybala affila il sinistro (Zoet bravo a respingere), ma il pericolo più grande arriva da Maggiore, che sfiora il 3-1: Locatelli salva a Szczesny battuto. Sul capovolgimento di fronte, al 22’, Chiesa riporta il match sul 2-2 con un destro di rabbia, in scivolata e inverte il trend del match. Bernardeschi prende il posto di Rabiot, la gara è ora un flipper impazzito. Ma il gol che spariglia la gara, al 27’, è di marca bianconera, con De Ligt che di destro supera Zoet. Lo Spezia non ci sta, la gara diventa sofferenza pura, i palloni diventano pesantissimi, per dirla alla Max Allegri. Ma la forza di reazione della Juve è premiata, nel finale Szczesny salva il risultato con una parata-miracolo su Maggiore e la Juve festeggia i primi tre punti in campionato.

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Riecco Di Francesco, poi la perla di Stulac: Empoli, che colpo a Cagliari!

Bella prova dei toscani, che vincono con merito con un gol per tempo.
Nel finale Henderson sfiora il tris: sarebbe stato un eurogol



Dopo la clamorosa vittoria dello Stadium, si erano perse le tracce dell'Empoli. Ma la squadra di Andreazzoli infila un altro colpo esterno fondamentale, anche questo non esattamente atteso. I toscani infatti vincono 2-0 a Cagliari, e il verdetto è indiscutibile. Brutto stop per i sardi, che dopo il bel pari dell'Olimpico steccano.

LA PARTITA — Andreazzoli ha coraggio, perché in un passaggio delicato attua un ampio turnover: in difesa ci sono Romagnoli e il baby Viti, mentre l'attacco è quello di scorta, composto da Pinamonti e Federico Di Francesco, redce da un lungo periodo di anonimato. Riposa anche Bajrami. Meno cambi per il Cagliari, che forse anche per questo perde in brillantezza rispetto all'Olimpico. Subito meglio l'Empoli: Pinamonti e Di Francesco lisciano sottoporta, poi è proprio il figlio di Eusebio a sbloccarla su assist di Haas e dormita della difesa sarda. Il Cagliari fatica a costruire e lascia anche spazi: l'unico vero sussulto è di Keita in avvio di ripresa, che colpisce il palo interno a Vicario battuto. Dopo un mezzo spreco di Pinamonti, la chiude il nuovo entrato Stulac con un missile da fuori area. La galleria di gioielli dell'Empoli non finisce qui: Henderson colpisce una traversa immaginifica da metacampo, avendo visto Cragno fuori dai pali. Sarebbe stato un serio candidato alla palma di gol dell'anno. Ma ad Andreazzoli va benissimo così.

Gasport

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Il Milan aggancia l'Inter in testa:
Diaz ed Hernandez stendono il Venezia

I rossoneri passano nella ripresa dopo un’ora molto complicata contro un avversario chiuso.
Decisivi i cambi di Pioli, in particolare l’ingresso di Theo e Saelemaekers.
In attesa del Napoli, il Diavolo è di nuovo in testa con l’Inter


Marco Pasotto


Mancava ancora questo scenario, e allora adesso lo si può dire: il Milan è cresciuto e si è fatto adulto in tutte le circostanze. E’ maturato contro le grandi, nella gestione delle partite, nello sviluppo del gioco e ora anche contro le piccole rinchiuse nel bunker: senza andare troppo lontano, negli ultimi due anni i rossoneri faticavano maledettamente a scollare le difese più arroccate. Contro il Venezia il Milan ha usato l’arte della pazienza (che ormai stava iniziando a venir meno) e Pioli quella dei cambi, decisivi nell’imprimere un’accelerazione diversa a una squadra che man mano si stava accartocciando su se stessa nel tentativo di avvicinarsi alla porta veneta. A San Siro è finita 2-0 con gol di Diaz ed Hernandez, autore anche dell’assist allo spagnolo e grande protagonista del match pochi minuti dopo essere entrato. Soprattutto, il Milan si tiene incollato all’Inter, con cui torna provvisoriamente in cima alla classifica in attesa del Napoli. E lo fa senza otto giocatori e senza incassare gol. Un inizio d’autunno che regala sorrisi grandi così al mondo rossonero e lascia invece nell’ombra la Laguna. A un certo punto il Venezia ha iniziato ad annusare il profumo di un punticino d’oro, ma con una partita giocata quasi costantemente nella propria metà campo è logico mettere nel conto di poter capitolare.

LE SCELTE — Pioli ha confermato il turnover immaginato alla vigilia – Florenzi per Saelemaekers, Bennacer per Kessie, Gabbia per Tomori -, ma anche stavolta non è mancata la sorpresa: in questo caso è stata il debutto dal primo minuto di Ballo-Touré al posto di Hernandez, che fin qui non aveva saltato nemmeno un minuto e ha vissuto un avvio di stagione è stato abbastanza opaco. Una linea difensiva quindi tutta nuova: Kalulu, Gabbia, Romagnoli e Ballo-Touré. Scelte ovviamente obbligate anche dal lungo elenco di indisponibili. Rispetto alla Juve non ha recuperato nessuno, nemmeno Giroud: otto giocatori inutilizzabili tra infortunati e a corto di condizione (Messias). Davanti, quindi, straordinari per Rebic e Leao, così come per Tonali in mediana. Zanetti, sempre privo di Lezzerini (in porta Maenpaa), in difesa ha confermato al centro l’ex rossonero Caldara e Ceccaroni, reduce dal gol allo Spezia, mentre a destra si è piazzato Ebuehi. Molinaro ha vinto il ballottaggio con Schnegg a sinistra. Il tecnico dei veneti ha cambiato sul centro destra, con Aramu e Peretz al posto di Okereke e Crnigoj. Ma ha cambiato anche il centravanti, preferendo Forte a Henry. Conferma per Johnsen a sinistra.

IL PROBLEMA DEL NUMERO 9 — Ed è stato proprio a sinistra che il Venezia, nelle rarissime occasioni in cui c’è riuscito, ha provato a distendersi e avvicinarsi alla porta di Maignan. Il primo tempo dei veneti in fase offensiva è riassumibile in un solo episodio, al 45’, quando Peretz ha mancato per pochi centimetri la deviazione vincente di testa su una spizzata in area di Forte. Il resto è stato soltanto fase difensiva perché il Milan si è installato nella metà campo avversaria. Copione chiaramente prevedibile, che però non ha portato grandi vantaggi. E’ un vecchio problema che Pioli non è ancora riuscito a risolvere e ha afflitto il Diavolo anche la scorsa stagione: contro le squadre chiuse a doppia mandata, i rossoneri spesso faticano a scardinare il chiavistello. Un po’ per colpa del giro palla prevedibile – in questo caso non particolarmente lento, ma leggibile troppo facilmente -, un po’ per le assenze. Perché Rebic non è un centravanti e ama muoversi e spaziare. Il croato è stato, per distacco, il migliore del Milan nella prima frazione, ma i compagni hanno faticato ad approfittare dei suoi movimenti. Risultato: area spesso sguarnita di maglie rossonere e tanti, troppi cross – per quanto ben eseguiti e potenzialmente pericolosi – smarriti nel cuore dell’area. Un grande spreco, ma senza un vero uomo d’area il copione è stato questo. Leao per esempio ha messo in mezzo un paio di palloni velenosi, da cui il Venezia è uscito indenne perché non sono stati sufficienti gli inserimenti del Milan: in una circostanza non ci sono arrivati per un soffio prima Ballo-Touré e poi Florenzi. Già, ma Rebic e Diaz dov’erano? Le linee strette dei veneti hanno chiuso gli spazi soprattutto allo spagnolo. Occasioni concrete per i rossoneri: Rebic ha sprecato di testa su un’uscita malsana di Maenpaa, Kalulu e Florenzi hanno sfiorato il palo dalla destra.

INGRESSI DECISIVI — La ripresa non ha modificato l’inerzia della gara. Milan avanti tutta, cercando ancora di più l’ampiezza, ma in partite simili occorre maggiore cattiveria quando arriva la palla buona. E’ il caso di Diaz, servito da Rebic al centro dell’area: il 10 rossonero si è ritrovato da solo ma ha sprecato alzando malamente la mira. Al quarto d’ora triplo cambio simultaneo di Pioli: Tomori per Gabbia, Hernandez per Ballo-Touré e Saelemaekers per Florenzi (dall’altra parte Henry per Forte e Crnigoj per Peretz). Cambio che ha ravvivato la manovra rossonera e dato modo a Diaz di farsi perdonare: Saelemaekers per Bennacer, lancio profondo e calibrato per Hernandez, cross al volo per l’inserimento di Brahim, sfuggito a Ceccaroni. Un gol che porta per metà la firma dei nuovi entrati. A quel punto, cancellati i fantasmi di una gara stregata, il Milan si è sciolto. A un quarto d’ora dalla fine Pioli ha offerto la gioia del debutto a Pellegri (al posto di Rebic), ma la scena se la sono presa di nuovo gli ultimi entrati: giocata spettacolare di Saelemaekers che ha messo Hernandez davanti alla porta, siluro di sinistro e due a zero. A quel punto, partita in cassaforte e ansia praticamente azzerata di fronte ai tentativi veneti di riaprire il match. Sabato il Diavolo farà visita allo Spezia, un’altra piccola: la partita dello scorso campionato (2-0 per i liguri) è il monito migliore.

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Il Milan aggancia l'Inter in testa:
Diaz ed Hernandez stendono il Venezia

I rossoneri passano nella ripresa dopo un’ora molto complicata contro un avversario chiuso.
Decisivi i cambi di Pioli, in particolare l’ingresso di Theo e Saelemaekers.
In attesa del Napoli, il Diavolo è di nuovo in testa con l’Inter


Marco Pasotto


Mancava ancora questo scenario, e allora adesso lo si può dire: il Milan è cresciuto e si è fatto adulto in tutte le circostanze. E’ maturato contro le grandi, nella gestione delle partite, nello sviluppo del gioco e ora anche contro le piccole rinchiuse nel bunker: senza andare troppo lontano, negli ultimi due anni i rossoneri faticavano maledettamente a scollare le difese più arroccate. Contro il Venezia il Milan ha usato l’arte della pazienza (che ormai stava iniziando a venir meno) e Pioli quella dei cambi, decisivi nell’imprimere un’accelerazione diversa a una squadra che man mano si stava accartocciando su se stessa nel tentativo di avvicinarsi alla porta veneta. A San Siro è finita 2-0 con gol di Diaz ed Hernandez, autore anche dell’assist allo spagnolo e grande protagonista del match pochi minuti dopo essere entrato. Soprattutto, il Milan si tiene incollato all’Inter, con cui torna provvisoriamente in cima alla classifica in attesa del Napoli. E lo fa senza otto giocatori e senza incassare gol. Un inizio d’autunno che regala sorrisi grandi così al mondo rossonero e lascia invece nell’ombra la Laguna. A un certo punto il Venezia ha iniziato ad annusare il profumo di un punticino d’oro, ma con una partita giocata quasi costantemente nella propria metà campo è logico mettere nel conto di poter capitolare.

LE SCELTE — Pioli ha confermato il turnover immaginato alla vigilia – Florenzi per Saelemaekers, Bennacer per Kessie, Gabbia per Tomori -, ma anche stavolta non è mancata la sorpresa: in questo caso è stata il debutto dal primo minuto di Ballo-Touré al posto di Hernandez, che fin qui non aveva saltato nemmeno un minuto e ha vissuto un avvio di stagione è stato abbastanza opaco. Una linea difensiva quindi tutta nuova: Kalulu, Gabbia, Romagnoli e Ballo-Touré. Scelte ovviamente obbligate anche dal lungo elenco di indisponibili. Rispetto alla Juve non ha recuperato nessuno, nemmeno Giroud: otto giocatori inutilizzabili tra infortunati e a corto di condizione (Messias). Davanti, quindi, straordinari per Rebic e Leao, così come per Tonali in mediana. Zanetti, sempre privo di Lezzerini (in porta Maenpaa), in difesa ha confermato al centro l’ex rossonero Caldara e Ceccaroni, reduce dal gol allo Spezia, mentre a destra si è piazzato Ebuehi. Molinaro ha vinto il ballottaggio con Schnegg a sinistra. Il tecnico dei veneti ha cambiato sul centro destra, con Aramu e Peretz al posto di Okereke e Crnigoj. Ma ha cambiato anche il centravanti, preferendo Forte a Henry. Conferma per Johnsen a sinistra.

IL PROBLEMA DEL NUMERO 9 — Ed è stato proprio a sinistra che il Venezia, nelle rarissime occasioni in cui c’è riuscito, ha provato a distendersi e avvicinarsi alla porta di Maignan. Il primo tempo dei veneti in fase offensiva è riassumibile in un solo episodio, al 45’, quando Peretz ha mancato per pochi centimetri la deviazione vincente di testa su una spizzata in area di Forte. Il resto è stato soltanto fase difensiva perché il Milan si è installato nella metà campo avversaria. Copione chiaramente prevedibile, che però non ha portato grandi vantaggi. E’ un vecchio problema che Pioli non è ancora riuscito a risolvere e ha afflitto il Diavolo anche la scorsa stagione: contro le squadre chiuse a doppia mandata, i rossoneri spesso faticano a scardinare il chiavistello. Un po’ per colpa del giro palla prevedibile – in questo caso non particolarmente lento, ma leggibile troppo facilmente -, un po’ per le assenze. Perché Rebic non è un centravanti e ama muoversi e spaziare. Il croato è stato, per distacco, il migliore del Milan nella prima frazione, ma i compagni hanno faticato ad approfittare dei suoi movimenti. Risultato: area spesso sguarnita di maglie rossonere e tanti, troppi cross – per quanto ben eseguiti e potenzialmente pericolosi – smarriti nel cuore dell’area. Un grande spreco, ma senza un vero uomo d’area il copione è stato questo. Leao per esempio ha messo in mezzo un paio di palloni velenosi, da cui il Venezia è uscito indenne perché non sono stati sufficienti gli inserimenti del Milan: in una circostanza non ci sono arrivati per un soffio prima Ballo-Touré e poi Florenzi. Già, ma Rebic e Diaz dov’erano? Le linee strette dei veneti hanno chiuso gli spazi soprattutto allo spagnolo. Occasioni concrete per i rossoneri: Rebic ha sprecato di testa su un’uscita malsana di Maenpaa, Kalulu e Florenzi hanno sfiorato il palo dalla destra.

INGRESSI DECISIVI — La ripresa non ha modificato l’inerzia della gara. Milan avanti tutta, cercando ancora di più l’ampiezza, ma in partite simili occorre maggiore cattiveria quando arriva la palla buona. E’ il caso di Diaz, servito da Rebic al centro dell’area: il 10 rossonero si è ritrovato da solo ma ha sprecato alzando malamente la mira. Al quarto d’ora triplo cambio simultaneo di Pioli: Tomori per Gabbia, Hernandez per Ballo-Touré e Saelemaekers per Florenzi (dall’altra parte Henry per Forte e Crnigoj per Peretz). Cambio che ha ravvivato la manovra rossonera e dato modo a Diaz di farsi perdonare: Saelemaekers per Bennacer, lancio profondo e calibrato per Hernandez, cross al volo per l’inserimento di Brahim, sfuggito a Ceccaroni. Un gol che porta per metà la firma dei nuovi entrati. A quel punto, cancellati i fantasmi di una gara stregata, il Milan si è sciolto. A un quarto d’ora dalla fine Pioli ha offerto la gioia del debutto a Pellegri (al posto di Rebic), ma la scena se la sono presa di nuovo gli ultimi entrati: giocata spettacolare di Saelemaekers che ha messo Hernandez davanti alla porta, siluro di sinistro e due a zero. A quel punto, partita in cassaforte e ansia praticamente azzerata di fronte ai tentativi veneti di riaprire il match. Sabato il Diavolo farà visita allo Spezia, un’altra piccola: la partita dello scorso campionato (2-0 per i liguri) è il monito migliore.

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Osimhen è una furia,
Napoli show anche con la Samp:
4-0 ed è di nuovo 1° da solo

A Genova gli uomini di Spalletti segnano due volte col nigeriano e anche con Ruiz e Zielinski.
Ospina tiene la porta inviolata


Filippo Grimaldi


Controsorpasso. Il Napoli mette la freccia, piazza per la terza volta nella sua storia il quinto successo di fila in cinque partite di campionato, e tiene a due lunghezze le milanesi. Al Ferraris (0-4 il finale, con doppietta di Osimhen e reti di Fabian Ruiz e Zielinski) la squadra di Spalletti conferma di non avere in questo momento alcun punto debole, trascinata dal nigeriano in stato di grazia e da un impianto di gioco praticamente perfetto. Dove, appunto, idee, piedi buoni e una forza fisica straripante si fondono in modo ideale. La Samp ha fatto quel che ha potuto: D’Aversa aveva parlato chiaro, dicendo ai suoi che contro una corazzata come quella azzurra non sarebbero stati concessi errori.

FIAMMATE SENZA FORTUNA — Così i blucerchiati, che pure erano partiti con il piede giusto, si sono arresi. Caputo (3’) ha messo paura a Ospina, ma partendo da posizione di fuorigioco. I padroni di casa hanno mostrato orgoglio e coraggio, tenendo inizialmente il Napoli nella propria metà campo, anche se alla prima ripartenza Osimhen è andato vicinissimo al vantaggio trovando Audero decisivo nella respinta (7’). Ma il vantaggio del Napoli era solo questione di tempo. Tre minuti ancora lui, Osimhen, confermando il suo straordinario momento di forma, ha colpito a rete sul cross di Insigne aprendo la goleada della capolista. Blucerchiati orgogliosi, però, con Ospina bravo a evitare il pari sampdoriano di Candreva su una conclusione deviata da Koulibaly. Ci ha provato poi ancora Lozano innescato da uno straripante Osimhen, poi è stato Silva (19’) a impegnare Ospina. Gara bella e vibrante, a ritmi altissimi, con i blucerchiati più efficaci sulla destra, dove Candreva ha confermato di avere una marcia in più dei compagni, e gli ospiti capaci di verticalizzazioni improvvise, pronti a colpire con il loro tridente. Osimhen, sempre è andato a segno (rete annullata), poi Lozano è riuscito provvidenzialmente a murare Yoshida. Ma non poteva bastare questa vivacità dei padroni di casa per sorprendere un Napoli gigantesco anche sul piano della personalità. Audero decisivo su Insigne, ma un minuto (39’), sugli sviluppi di una combinazione Lozano-Insigne, il rasoterra violento di Fabian Ruiz è andato a bersaglio.

DISCORSO CHIUSO — Troppo pesanti i due gol da recuperare. Manolas in campo per Rrahmani infortunato, ma il Napoli al 5’ dilaga. Tre a zero firmato ancora da Osimhen, che chiude una combinazione Zielinski-Lozano. Vittoria in cassaforte, e allora D’Aversa fa rifiatare Quagliarella lanciando Torregrossa, ma la gara è senza storia. Napoli tritatutto, e dopo un quarto d’ora dal via della ripresa Zielinski, pescato sempre dal messicano, fa quattro a zero. Osimhen, troppo egoista, spreca il pallone del cinque a zero, ma la musica non cambia mentre entrambe le squadre cambiano pelle e la Samp fa debuttare Ciervo. I blucerchiati vanno in rete al 28’ a chiusura di una combinazione Candreva-Caputo-Candreva, ma l’ex Sassuolo è in fuorigioco e l’arbitro Valeri annulla. Finisce con Osimhen e Insigne (due assist per lui, come per Lozano) che danzano sotto lo spicchio di curva napoletana. La festa è qui, e può durare ancora a lungo.

Fonte: Gazzetta dello Sport
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