00 08/08/2008 17:49
Stava disegnando una nuova Ferrari
Le sembra adesso. Adesso che anche a lei scorrono di fronte mille immagini, momenti, lavori, progetti mandati avanti insieme. Adesso che «non riesco a parlarne al passato» e proprio per questo, forse, niente si appanna o si confonde ma il flash che più di tutti batte in testa, insistente, è lui che le dice: «Non ti devi preoccupare di nulla».
Era un giorno di febbraio di cinque anni fa. Era Andrea Pininfarina che le chiedeva di andare su in azienda, a Torino, per un'importante riunione confindustriale, e lei che però gli rispondeva: «Andrea, come faccio? Mi mancano due settimane al parto». «Non ti devi preoccupare di nulla». Non lo fece, Emma Marcegaglia. «Arrivai, mi ripeté: "Sei in buone mani". Scoprii dopo che aveva allertato tutti gli ospedali della zona». E quando poi «mia figlia nacque», secondo calendario, «venne subito da noi a Mantova. "Emma, i saluti più tardi. Prima portami a conoscere Gaia"».
Ecco. L'uomo che se n'è andato ieri, improvvisamente, assurdamente, era l'imprenditore di razza, di talento, di coraggio anche — forse soprattutto — nelle difficoltà. Era l'industriale che conosceva il valore dell'impegno per il proprio Paese e lo praticava, l'interlocutore che rispettava i sindacati e ne era ricambiato, uno dei simboli dell'eccellenza made in Italy.
Era tutto questo e a tutto questo, con commozione vera, ha reso omaggio ieri il Paese intero. Da Giorgio Napolitano in giù. Se c'era quello spessore però, se ieri nessuna frase è apparsa cordoglio di circostanza, ma dolore vero, è perché Andrea Pininfarina non era soltanto un capitano d'industria. Non si «esibiva», non amava i riflettori. Non frequentava nessun jet set: a Torino o al golf della Mandria gli amici non avevano necessariamente cognomi altisonanti, a Roma non erano contemplati salotti. Era sabaudo, era rigoroso, era una delle persone più riservate che si possano immaginare. Ma insieme era anche, fuori dalle luci, «l'amico leale, e capace di dolcezze e sensibilità» che oggi ricorda (e piange) la leader degli imprenditori.
Con quel flash su tutti perché l'uno, l'industriale di cui l'Italia leggeva sui giornali, non sarebbe stato di quella stoffa senza l'altro, l'uomo che soltanto chi gli stava accanto, anche solo per lavoro, davvero conosceva.
Così fatica a parlare, Marcegaglia. E fatica Marco Tronchetti Provera. E Luca Cordero di Montezemolo. «Orribile », è l'unico aggettivo che riesca a trovare il numero uno Pirelli. «Tragico», quello del presidente di Ferrari e Fiat. Nemmeno loro, altrettanto sconvolti, ce la fanno a usare i verbi al passato. «Era da me giovedì scorso, a Maranello... ». Erano pronti al lancio della loro ultima creatura, ricorda Montezemolo, «la Ferrari California l'avevamo fatta insieme ». Ci avevano lavorato i rispettivi tecnici, certo, ovviamente, «ma siamo partiti noi due, da un foglio bianco». Come sempre. E come sempre, non dovevano fermarsi lì. «Andrea» avrebbe dovuto firmare altre creature del Cavallino, le «più belle macchine del mondo » (riconoscimento unanime dell'universo dell'auto) sono sempre nate dalle matite della Pininfarina: «Per le prossime ci eravamo dati appuntamento al 28 agosto». Ripensarci adesso diventa impossibile. E non è lavoro, non solo, chisseneimporta oggi? «L'Italia, Torino, la Fiat perdono un imprenditore simbolo. Io, anche un amico». Leale. Vero. Per cui non è solo un omaggio alla memoria rifugiarsi, a questo punto, in altri ricordi: pochi lo sanno, fuori da Confindustria, «ma Andrea è stato, con Emma, uno dei grandi artefici della straordinaria avventura che sono stati, per me, i quattro anni alla guida di Confindustria». Sebbene non tutti conoscano gli inizi, di quella storia: «Era il 2003. Io, e non solo io, avrei voluto che lo facesse lui, il presidente. Ne parlai anche con Sergio, suo padre. Mi dissero: "Grazie, ma se ci vuoi bene... L'azienda ha bisogno di impegno a tempo pieno"». Non era, in effetti, un periodo facile. E anche lì, forse soprattutto lì, usciva per intero l'uomo. «Ne parlammo, un giorno. Mi venne a trovare, sapeva che anch'io avrei voluto vederlo al vertice di Confindustria». E non solo nel 2003, svela Tronchetti: «Erano anni, che gli dicevo: "Avresti un enorme consenso. E saresti un ottimo leader"». Solo che quando arrivò il momento, la prima volta nel '99, «sia lui sia suo padre dissero che la priorità era l'azienda. Andrea non inventò scuse, per rifiutare gli inviti. Non l'ha mai fatto, in nessun campo: ha sempre avuto il coraggio delle proprie posizioni. Per quanto potessero costargli». Quel giorno non fu diverso: «Lui, così riservato, mi spiegò le ragioni per cui non avrebbe potuto impegnarsi nell'associazione con una trasparenza, una lealtà, una profondità d'altri tempi. Era il gesto di un amico. E l'amicizia di uomini così è un privilegio ». Per la schiettezza, di «Andrea ». Per la sua totale assenza di ipocrisia. La sua fermezza. Gli diedero del «prodiano» quando, a Vicenza 2006, da padrone di casa (in quanto vicepresidente) del convegno del Centro Studi si trovò a gestire il violento attacco di Silvio Berlusconi a Confindustria. La sua era in realtà solo fermezza, appunto: riprese in mano una situazione che stava degenerando in modo freddo, senza accusare nessuno, semplicemente — ricorda Montezemolo — richiamando tutti, imprenditori compresi, «al senso delle istituzioni». E comunque un anno dopo, solo l'estate scorsa, mentre giravano bizzarre dietrologie sulla fiducia che anche suo padre Sergio aveva votato all'esecutivo, contribuendo a salvarlo, sconti non ne fece nemmeno a Romano Prodi. Perché vedeva un governo «immobile». E lui sferzava, non si rassegnava a un Paese che arrancasse.
La sua parte la faceva, intanto, facendo il suo lavoro. Aveva lasciato anche le posizioni di vertice tra gli imprenditori, per concentrarsi sull'azienda. E ci stava riuscendo, a portarla fuori dalle secche. Aveva appena chiuso un'alleanza con Vincent Bolloré, un'altra con Ratan Tata. E proprio lui, il magnate indiano, dieci giorni fa a Torino raccontava orgoglioso del centro di ricerca «che faremo nel nostro Paese con l'amico Andrea ». «Andrea» che però, basso profilo come sempre, del rilancio aziendale non voleva ancora parlare. Non in pubblico, «non finché non sarà completato: e c'è ancora molto da lavorare ». In città c'era rimasto per quello. «Sì, mi piacerebbe andare in vacanza. Ma ho il consiglio d'amministrazione il 13». A quel board, ora, nessuno ha la forza di pensare. Andrea Pininfarina è morto alle otto di mattina andando in fabbrica a prepararlo.
In Confindustria Pininfarina fu vicepresidente sotto la guida di Montezemolo

Raffaella Polato





LE PAROLE CHE DICO NON SI AMANO SE DEVI AMARE DEVI AMARE ME!

"forse è inutile parlare, contro i muri non servono le parole meglio le picozze!!!"




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